Salafiti dal barbiere: farsi una cultura ai tempi della guerra

Lo ammetto. Io dei salafiti non so niente. E nemmeno dei wahabiti. C’è da vergognarsi per questo? Ebbene me ne vergogno e tanto anche. Però basta, non se ne può più. Ma chi l’ha detto che solo per il fatto che mi chiamo Mohamed, chi l’ha detto che debba sapere tutte ‘ste cose qua: salafiti, wahabiti, sunniti, sciiti… E poi un’altra cosa: io di Islam ne so quanto voi. Non sono un Fkih, non sono un teologo, non sono un esperto del sacro Corano.

Non è sempre stato così. C’è stato un tempo che bastava dicessi che durante il Ramadan non si mangia dall’alba al tramonto, che noi musulmani preghiamo 5 volte al giorno rivolti alla mecca, che da noi uno può sposarsi ben 4 donne, ed era fatta. Bastava questo per risvegliare nelle donne fantasie ardite e stupori esotici nelle anime candide.
Adesso è tutto più difficile.
Anche il più malandato dei frequentatori dei circoli Acli ne sa più di me. E mi parla con lo stesso piglio e perizia del derby di ieri sera e di Al Jazeera; della differenza tra Niqab, hijab e delle varie correnti dell’Islam.

È stato dopo l’11 settembre che la gente ha scoperto questo improvviso amore di conoscenza verso le cose dell’Islam, gli arabi e il Medioriente. E ho la netta sensazione che ad ogni nuovo atto terroristico, ad ogni bombardamento degli americani in Iraq, Afghanistan e quelle parti lì, la gente diventi sempre più ferrata in materia. Quasi che questi atti sanguinari o bellici che siano fossero una sorta di incentivo culturale. Ora, per carità, che la gente si faccia una cultura non c’è niente di male, solo che io magari non disdegnerei nemmeno i tempi di pace per acculturarmi.

Mi sembra anche che l’arabo come lingua, sempre dopo gli attentati dell’11 settembre, sia in rispolvero. E anche in questo caso mi sembra ci sia una qualche correlazione fra l’intensificarsi dei kamikaze che si fanno saltare in aria, i bombardamenti dei droni e il fiorire di nuovi corsi d’arabo. Certo è risaputo che le guerre fanno riprendere l’economia. Quello che sospettavo meno è che anche l’economia culturale fosse inclusa in questo processo.

Questa sorta di orientalismo macabro ha preso ora nuovo slancio con le cosiddette Primavere arabe.
Ad un tratto, dopo che il povero Bouazizi si è immolato, tutti, dalla mia fruttivendola al mio barbiere, all’anziana in fila al discount, tutti si sono messi a parlare di Cirenaica, del Colonello Gheddafi e delle sue tribù, di Egitto e di Piazza Tahrir, con insolita cognizione di causa.
Insomma ormai la gente sa tanto di Iraq, Iran, Libia, Egitto, Yemen tanto quanto ne sa di Avetrana. Non sono più luoghi lontani e misteriosi come una volta. E non possiamo non riconoscere a Vespa e ai suoi ospiti la loro parte di merito in tutto ciò. Grandi divulgatori di queste tematiche sono anche la defunta Oriana Fallaci e Magdi Allam. Se tutti ora sanno chi sono i wahabiti e i salafiti è anche merito loro.

Io, per quanto mi chiami Mohamed, mi son sempre tenuto lontano da questi argomenti. Li consideravo roba da geopolitica, con tutto il grigiore che ciò implica. Invece si tratta solo di cronaca nera. La gente si appassiona a Bin Laden o a Saddam Hussein come a Una Bomber. E fra non molto lo stesso si potrà dire di Bashar El Assad. Fra non molto, infatti, nelle bocciofile di tutt’Italia si saprà tutto della Siria come si sa tutto ora di Sarah Scazzi. Ed è molto probabile che le news sul medio oriente passino direttamente dalle pagine di Repubblica a quelle dei più diffusi rotocalchi tipo Cronaca Vera e simili.

Comunque ho deciso: non posso sempre fare scena muta, dal mio barbiere, quando si affrontano questi argomenti. Lo leggo nei suoi occhi come in quelli degli altri clienti, c’è una certa delusione. Quando tirano le parole salafiti e wahabiti mi guardano ed è come se si aspettassero da me delle precisazioni, maggior ragguagli, e più incisivi, su queste tematiche. Io li guardo, faccio cenni con la testa: come per dire “sì è come dite, però le cose son più complicate di quel che pensate”.
Ma non potrò sempre cavarmela così, devo decidermi di frequentare di più Wikipedia.
( dalla mia rubrica su Escamontage)

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One Response to Salafiti dal barbiere: farsi una cultura ai tempi della guerra

  1. Vincenzo says:

    Qui a Napoli la storia è cominciata prima dell’ 11 settembre, coi disordini in Algeria. Insieme a tant’altra gente i terroristi sgozzarono 7 marinai di un mercantile italiano. Erano tutti di qui. Allora cominciammo a renderci conto della difficoltà che i mussulmani comunque avevano a dissociarsi da un terrorismo che comunque colpiva soprattutto loro. Erano prigionieri di una mistificazione che mischiava religione e politica. Personalmente ritengo che Bibbia e derivati siano solo una proiezione metafisica di una sanguinaria follia umana. Purtroppo proprio per questo rifiutare la religione non basta. Non risulta infatti che Robespierre, Hitler, Stalin o Pol Pot fossero particolarmente devoti. Quale che sia la nostra disposizione nei confronti del metafisico non possiamo delegare a nessuno la quotidiana necessità di distinguere il bene dal male.

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