Il divano non è un luogo comune

(a questo mio vecchio racconto sono particolarmente affezionato anche perchè praticamente segna l’inizio della mia attività scribacchina)

Durante la mia lunga carriera di studente squattrinato fuorisede, fuoricorso e forse anche un po’fuori di testa, più d’una volta mi son trovato nella necessità di dovere chiedere ospitalità ad amici e conoscenti. Non che avessi difficoltà a trovare casa, è che facevo fatica a tenermele e dopo qualche tempo venivo regolarmente sfrattato.

Deve essere durante questo periodo, io credo, che ho sviluppato una spiccata sensibilità per i divani, nei confronti dei quali nutro tuttora un profondo sentimento di riconoscenza.

Ma messa in questi termini la questione può apparire molto più prosaica di quanto, in effetti, non lo sia.

In realtà l’idea che col tempo sono andato facendomi del divano esula decisamente dal tipico sguardo estetizzante o dal pratico utilizzo con cui di solito si usa abbracciare ed accomunare indifferentemente tutta la mobilia.

Insomma, per me il divano è una materia dello spirito e non c’è comodino o credenza che possano reggere al confronto.

Il divano non è un luogo comune.

Anche questa notte mi sono addormentato sul divano. Mi piace dormire sul divano. Sul divano, in genere, si dorme scomodi. Su un divano scomodo ti addormenti solo quando sei veramente stanco e appena sei sveglio non puoi indugiare sdraiato, senti il bisogno di alzarti in piedi e sgranchirti le membra.

Dormire sul divano è un vizio. Un po’ come le sigarette: si sa che fanno male eppure, come tutti i fumatori sanno, fumare aiuta ad essere lucidi, da quest’illusione, è un modo per non perdere tempo perché anche nei momenti d’ozio completo, il rito della sigaretta aiuta a mantenere il rapporto con se stessi, permette ai sensi di non essere passivi in balia di elementi a noi estranei, mantiene la volontà a nostro servizio. Mentre fumo, il naso sente un odore di cui io sono l’artefice, i movimenti della mano, della bocca sono al servizio di un mio desiderio. Piccolo particolare non trascurabile: il fumo fa male mentre il divano… per niente.

Come ogni vizio, dormire sul divano, (anche se dormire non è il verbo esatto: crogiolarsi, indulgere, forse la parola più adatta è divanare), anche questo vizio deve essere gestito con saggezza. Ad esempio io evito il divano quando sono in pigiama, e tanto meno leggo sdraiato sul divano. Per me il divano è qualcosa di speciale. Qualcosa che ha che fare con lo spirito, o con l’arte se vogliamo. Sì, divanare è proprio un’arte. E sempre mi stupisce il fatto di non vedere altri che la pratichino. Eppure viviamo in tempi dove prolificano ed abbondano varie ed anche strampalate forme d’ascesi, dove c’è una fame di trascendenza che spinge la gente a cercare in religioni esotiche, o nei tanti manuali promettenti felicità in ventiquattrore, un po’ di pace per le loro anime inquiete. Ma al divano nessuno ci pensa.

L’errore, credo, è che tutti vedono il divano solamente come un mobile qualsiasi.

V’invito, quando entrate in casa, ad osservare il vostro divano, a guardarlo con occhi nuovi. Per prima cosa vi accorgerete che da sempre il divano ha suscitato in voi un certo timore reverenziale di cui voi non siete stati mai consci. Poi provate un po’ a pensare a tutti i divani che vi è capitato di vedere o scorgere nella vostra vita. Vi verrà in mente certamente quella volta che, accanto ai cassonetti della spazzatura, ne avrete notato uno che serbava intatta la sua dignità nonostante l’irriverente collocazione subita. Quelli più sensibili fra di voi intuiranno anche il travaglio interiore, la lacerazione profonda di chi ha voluto disfarsene. Non è impresa facile liberarsi di un divano. Di solito il compito è affidato a due o tre robusti giovanotti. Ma quasi sempre vi è una donna che, con scaltrezza tipicamente femminile, avrà aizzato i malcapitati a mettere in atto questa profanazione, facendo passare il divano dalla porta stretta e studiando il modo più brillante per portarlo giù dalle scale senza strisciare i muri. Va da sé che questa operazione si fa di notte: nell’ora in cui già per le vie gatti spavaldi consumano crudeli amplessi.

Nessuno potrà negare, lasciatemelo dire, che la nostra amica senza più il divano sentirà, ogni volta che varcherà la soglia di casa, un vuoto, un’assenza, una solitudine, un mal di vivere che né la televisione né i cioccolatini, né le sigarette, né le oceaniche telefonate serviranno a lenire. Lei non lo sa, ma noi sappiamo che quello che le manca è un divano, l’energia positiva, la pace spirituale, quella presenza amica che esso ci dona e che noi, presi come siamo a correre dietro al tempo, a vedere gente ad affannarci e a fare carriera, a ricordarci le scadenze che sono tante e che mettono ansia, non sappiamo più apprezzare.

Fra i tanti divani che avrete incontrato nel corso della vostra vita ricorderete, anche, senz’altro quel divano che avete scorto dietro una vetrina o chissà dove era, ne sono sicuro, il divano dei vostri sogni; ognuno di noi sogna un divano, e noi tutti siamo intimamente convinti che senza quel particolare divano non saremo mai del tutto felici. Eppure troviamo sempre un buon motivo per non averlo subito. Rimandiamo. Oppure ripieghiamo su altri modelli.

Non so, è come se avessimo paura di star bene.

Talvolta giungiamo a compromessi a dir poco bizzarri; e finisce che ci compriamo una poltrona o, che so, un divano letto.

Ora, il concetto stesso di divano letto è dannoso per il nostro equilibrio psicofisico. È un minare alla radice la nostra forza di volontà. Se uno vuole un gatto, vuole un gatto, non può essere soddisfatto con un cane-gatto.

E poi un divano è già anche un letto, è qualcosa di più: è un letto senza il concetto di letto.

Si diceva dell’effetto benefico che ha su di noi il divano. Uno di questi è che ci aiuta a capire il mondo, a distinguere il bianco dal nero e soprattutto ci aiuta a capire che il grigio, non è bianco e nero è grigio e basta; dove il bianco non è più che un ricordo e così pure il nero. Ci aiuta a vedere le cose per quel che sono, il ché, in questi tempi, non è poco.

In un’epoca in cui il caffè è decaffeinato, il latte è senza grasso, dove lo zucchero è in pillole, dove cioè a tutto viene tolto il principio vitale, abbiamo il sacrosanto diritto di aggrapparci con tutte le nostre forze alle poche cose rimaste vere, integre, su questo dobbiamo essere assolutamente intransigenti.

Si parla tanto di scontro di civiltà, d’occidente e d’oriente. Bene il divano è un pezzo d’oriente che noi tutti abbiamo in casa. Nonostante i tanti secoli dacché è entrato a far parte dell’arredo occidentale, un’aura d’estraneità lo avvolge e un confine invisibile lo separa e lo protegge dalla quotidianità domestica del resto della mobilia. Il divano è irriducibilmente diverso da qualsiasi altro elemento d’arredo. Il divano è un mobile non integrato. Non a caso il divano sta bene col tappeto, sono entrambi d’origine orientali.

Non ci sono più valori, non c’è più religione, siamo tutti irrequieti, non ci sono più capisaldi, punti fermi, tutto è labile, effimero e sfuggente; mancano figure di riferimento. Il terrorismo, il ritorno dei saraceni, il buco dell’ozono, il surriscaldamento del pianeta e intanto i senza tetto che d’inverno muoiono di freddo; Woody Allen che si sposa la figlia, la disoccupazione, le tante minoranze che ormai sono una maggioranza, l’ordine pubblico, insomma è tutto un caos. In mezzo a tutto ciò quindi, ben si capisce come il divano abbia un grande potere rilassante. Lo consiglio vivamente in casi di stress, d’insonnia, di cefalea, per i dolori della cervicale, per le crisi mistiche, nei casi di lite con la moglie (ma questo già si sa), prima e dopo un esame, oserei dire per tutti quei disagi d’origine psicosomatica che ci avvelenano la vita. Ormai ne sono quasi sicuro, il benessere economico da solo, senza un sapiente e oculato uso del divano, spesso, molto spesso è fonte di seri malanni. Dunque quella che propongo è la terapia del divano. Ma più che una terapia, è una disciplina o come ho già avuto modo di dire è un’arte.

Non basta stravaccarsi sul divano per avere dei benefici. Taluni per fare i furbi possono essere tentati di provarla su qualche poltrona. Non possono commettere errore più grande, poiché sia chiaro, l’arte di “divanare” non ha niente a che fare con il poltrire. Non che io abbia qualcosa contro il poltrire, semplicemente non condivido. Vi è una notevole differenza fra una poltrona e un divano.

Certo, ne sono ben consapevole, a questo punto, a qualcuno, questo mio elogio del divano può sembrare del tutto gratuito, aleatorio o peggio ancora. Sono il primo a dirlo, non vi è nulla di scientifico in ciò che vado dicendo. Ma detto questo, intendo subito mettere in chiaro una cosa: qui non siamo a cospetto di una televendita; io non sono un imbonitore, non vi sto tessendo le lodi del divano perché ve ne voglio affibbiare uno, no niente di tutto ciò. Perciò ai signori smaniosi di dire la loro, agli ipercriticoni e similari consiglio di interrompere subito questa lettura, di rimettersi subito i paraocchi e di riprendere le loro consuete abitudini. Questa non è una passeggiata rassicurante fra i loro luoghi comuni.

Ma torniamo a noi, torniamo all’arte di divanare.

Premetto che non è una panacea, non voglio illudere nessuno. Non aspettatevi neanche delle istruzioni per l’uso. Semplicemente voglio farvi partecipi di una mia intuizione. Qui e là forse troverete nelle mie parole qualche indicazione sul modo più appropriato per trarre benefici dall’uso del divano. Non ho in mano teorie da snocciolare; tutto ciò che dirò non è altro che il frutto di una mia antica consuetudine col divano.

Consuetudine che fra l’altro è causa dei molti rimproveri che tuttora mi muovono amici e parenti che non capendo, e preoccupati per questo mio esagerato attaccamento al divano, mi consigliano di darmi da fare e di scuotermi da questa insana pigrizia. Mi esortano a trovarmi un’occupazione che mi dia da vivere. Mi scongiurano di smetterla nell’insistere a cercare interrelazioni geopolitiche, disquisendo delle mie pezze al culo come fossero conseguenza inevitabile di un capitalismo impazzito. Io da parte mia li lascio dire. Del resto come fai a dialogare con gente cui la massima aspirazione è lavorare. Un’entità abile e crudele ha inculcato nel profondo del loro essere che la loro essenza è il lavoro, che loro esistono in quanto lavorano. Un’ipnosi collettiva, attraverso il lavoro, rinnova e rinsalda continuamente il suo influsso manipolatorio e ne fa dei robot programmati per lavorare. Come faccio a spiegargli che io e loro abbiamo una diversa visione del mondo, una diversa scala di valori. Come faccio a spiegargli che abbiamo una diversa nozione del tempo ma soprattutto del “tempo libero”? Che nella mia scala di valori viene prima il tempo libero e solo in un secondo momento il tempo “occupato”?

Faccio fatica persino a differenziare fra i canonici passato, presente e futuro: figuriamoci fra tempo libero e tempo occupato. Questa banale suddivisione continuiamo a riservarla tutt’al più ai soli bagni pubblici. I sacrifici che loro sono disposti a sostenere pur di ritagliarsi un po’ di tempo libero, io sono disposto a sostenerli purché nell’economia del tempo a mia disposizione quella “occupata” sia la più esigua possibile.

Bisogna tenere la mente sgombra, liberarci dagli schemi prefissati, allargare gli orizzonti. Non è facile, lo so. Ma solo dopo che ci saremo in qualche modo appropriati della nostra mente, del nostro pensiero, della nostra volontà, potremo renderci conto dell’efficacia di questa nuova disciplina, di questa nuova arte.

Spero mi scuserete il tono enfatico e l’entusiasmo talora eccessivi con cui vi faccio partecipi di questa mia scoperta, ma l’efficacia di questo modo di rapportarsi al divano, i suoi benefici, ne fanno, anche, una sorta di fitness dello spirito dai risultati davvero sorprendenti…

Questo però non è tutto. L’esempio sulla salute è puramente indicativo.

Un buon rapporto col divano è la premessa indispensabile per la buona riuscita di qualsiasi attività umana. Non importa se siamo architetti, vescovi o netturbini, chi sa godere del divano adotterà sempre un metodo interdisciplinare, avrà sempre presente che gli eventi sono concatenati, sa, anche senza poterlo spiegare, come uno sbattere d’ali di farfalla in un dato posto possa scatenare a distanza di migliaia di chilometri una tempesta di sabbia nel deserto e per questo motivo limita il suo agire al minimo indispensabile: serenamente infischiandosene se altri chiamano tutto ciò pigrizia, ozio o, come va più di moda adesso, depressione.

Mi viene la nausea solo a pensarci. Termini come depressione, esaurimento nervoso sono sulla bocca di troppa gente e atrofizzano sul nascere, banalizzandolo e distorcendolo, qualsiasi discorso sull’anima. Sì, ho usato la parola anima. Lo sento anch’io che suona retrogrado. È una parola che non si usa più e quelle rare volte che capita d’imbatterci (come adesso) si ha la sensazione del vecchiume, la sensazione quasi tattile delle ragnatele. Vi prego però non fate gli schizzinosi e continuate a leggere.

Spero non abbiate un approccio all’ars divanandi, come dire, consumistico. La riterrei un’offesa personale se vi avvicinate a tale materia alla stregua di come lo si fa per una nuova dieta, o ad un viaggio esotico, un corso di origami o a un tatuaggio sul fondo schiena. Mi piacerebbe che aveste, invece, un approccio serio ma non serioso. Leggero ma non frivolo. Intelligente ma non cervellotico. Entusiasta ma non fanatico. Critico ma non polemico e pretestuoso. Quindi niente eccessi, meglio la giusta misura e per finire sobrietà ed equilibrio.

La divanologia è una strada non battuta, una pagina non scritta, un fiore non sbocciato, una creatura innocente. Sta a noi percorrerla, scriverla, aiutarla a fiorire, non corromperla.

Io sono un inguaribile ottimista e credo fermamente in questa speranza. Sono un sognatore, credo ancora nel genere umano e sono persuaso che questo giorno prima o poi arriverà: il giorno che ogni persona avrà diritto a un divano ma, di rimbalzo, anche il dovere di farne un buon uso. E le incomprensioni, i fraintendimenti, gli scontri di civiltà, saranno solo un brutto ricordo. L’ars divanandi è alla portata di tutti se solo noi lo vogliamo. Il giorno che ognuno di noi riuscirà ad avere un buon rapporto con il suo divano, il domani non potrà che essere migliore.

È bene che ce lo mettiamo in testa: il divano è una questione che riguarda tutti noi, non solo i tappezzieri.

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