Fra le iniziative che associazioni, istituzioni e varie altre anime pie intraprendono per favorire l’integrazione dei cittadini stranieri molte sono di natura sportiva. Perché, almeno sulla carta, sport è sinonimo di lealtà, rispetto dell’avversario, spirito di sacrificio, fair play… Si suppone perciò che in questo ambito l’unico discrimine per affermarsi dovrebbe essere il talento, al di là del colore della pelle o del paese di provienienza.
E pazienza se poi, queste iniziative, il più delle volte si traducono in stanche partitelle di calcio in campetti polverosi. Dove lo spirito agonistico raggiunge il suo acme solo dopo il triplice fischio finale, allorchè giocatori, arbitri e tifosi si riversano, a bordo campo, su piatti ricolmi di cus cus ed altre nuove pietanze che inevitabilmente i flussi migratori si trascinano dietro. A suggello di cotanta integrazione è l’immancabile foto trofeo che, per i posteri e per la stampa locale, immortala l’assessore di turno mentre bello sorridente stringe a sé quanto più giocatori multietnici il suo caloroso abbraccio riesce ad avvolgere. Tutto sommato, queste occasioni sportivo-culinarie male non fanno, anche se, dieta mediterranea a parte, integrano ben poco. Gli stranieri nello sport, però, non bazzicano solo queste parate dove il confine fra folklore e dilettantismo si fa molto labile, ma li troviamo anche a livelli più alti. E qui basta un nome per dare il quadro della situazione: Balotelli. Nome ormai indelebilmente associato ai “cori razzisti”. Ma, come ci dice Mauro Valeri, uno che all’argomento ha dedicato vari libri ( black Italians, Stare ai giochi, La razza in campo.. )“ Le aggressioni a Balotelli sono iniziate molto prima che lui fosse considerato una testa calda, e in maniera sistematica. Lui è il primo a non avere, come dicono i razzisti, neanche una goccia di sangue italiano. Non ha fatto le Olimpiadi perché non aveva ancora compiuto 18 anni, e non poteva ancora avere la cittadinanza pur essendo nato e vissuto in Italia. Ma lui, con Okaka e Oshadogan, indica il cambiamento, perché è italiano senza avere genitori italiani.”
La questione, quindi, va al di là delle più o meno farlocche iniziative d’integrazione e dei tifosi razzisti; semmai l’urgenza è piuttosto quella di mettere mano a leggi e normative che difatti possono arrivare a troncare sul nascere carriere sportive di talentuosi giovani figli d’immigrati nati e cresciuti in Italia – di solito etichettati dal gergo giornalistico come “nuovi italiani” o “seconde generazioni”. Finchè vige insomma il principio dello Ius Sanguinis – è italiano solo chi è filglio di italiani – le discriminazioni basate sulla cittadinanza continueranno ad essere all’ ordine del giorno. Anche nello sport. Come tutti sanno Pierre de Coubertin diceva che l’importante non è vincere ma partecipare. A ben vedere è solo questo che anche i “nuovi italiani” auspicano: avere almeno la possibilità di essere ai nastri di partenza. E poi che vinca pure il migliore.