Il desiderio di essere come tutti, romanzo di formazione di un teleutente

libro
Francesco Piccolo ne Il desiderio di essere come tutti parla, fra l’altro, di come è diventitato comunista, arrivando ad individuare il momento esatto in cui questo è successo. Individua anche il momento esatto in cui è diventato superficiale. Più avanti individua il momento esatto in cui ha cominciato a odiare Craxi e si è definitivamente identificato in Berlinguer. E continua a individuare altri momenti ( anzi i precisi momenti) fondamentali nel processo alla fine del quale capisce che in fondo in fondo il suo più recondito desiderio, la sua essenza di uomo privato e sociale, è il desiderio di essere come tutti.

Tutti è anche il titolo dell’Unità all’indomani della morte di Berlinguer. Dove tutti sta ad indicare la folla oceanica che ha assistito al funerale e che era composta non solo da comunisti ma appunto da tutti.

Poi nel libro Piccolo racconta, ovviamente, anche altre cose. Del suo primo innamoramento per Elena. Ragazza molto comunista. Della fine della loro storia, che per inciso è finita perchè Piccolo si è presentato a lei il giorno di San Valentino con un regalo avvolto in una confezione di colore rosa ( Piccolo individua anche il momento esatto in cui in Italia viene scoperto il colore Rosa) e dentro c’era un peluche: Snoopy. La ragazza molto politicizzata e molto comunista lo manda a quel paese. Poi ci racconta anche della sua attuale moglie, che nel libro è battezzata “Chesaramai” per via che sdrammatizza tutto. Ma proprio tutto tutto.

È un libro molto ripetitivo: lo stesso concetto viene molte volte ribadito. Ad esempio Piccolo parla molto del rapporto con suo padre ma dicendo sempre la stessa cosa: suo padre è fascista mentre lui non lo è. Che vuole molto bene a suo padre nonostante la divergenza di opinioni. Anche di Elena si parla molto senza aggiungere nulla di nuovo – lei è comunista, non è innamorata di lui e poco altro.

Praticamente nel libro Piccolo parla della sua crescita. Del ragazzo di Caserta tutto scuola casa e amici. Che diventato grandicello emigra a Roma per inseguire il suo sogno di fare lo scrittore. Di come piano piano scopre che il mondo sono anche gli altri. E di come la scoperta degli altri implica una dimensione della vita che non è solo privata ma che è anche pubblica.

La cosa che mi sembra interessante in questo libro è come la generazione alla quale appartiene Piccolo sia stata plasmata dalla televisione e più in generale dai media. Di come le cose che succedono veramente, per Piccolo, sono veicolate dalla televisione, dai giornali e dai libri. È diventato comunista per via di una partita in televisione. Ha pianto di disperazione per la morte di Berlinguer seguendone il funerale alla televisione. Ha visto una volta in pubblico Berlusconi ma era lontano e alla fine ha seguito il suo discorso in un maxischermo.

Tutte le cose che hanno inciso in maniera determinante sul suo carattere, in questo libro sono veicolate da qualche media. Quindi quello esiste veramente per lui è quello che passa in televisione o che dicono i giornali o che ha letto nei libri. Forse anche per questo è finito a fare lo sceneggiatore per il cinema, a lavorare per la televisione e a scrivere sui giornali. Finire in questo mondo era l’unico modo per esistere davvero, poichè solo lì succedono le cose vere.

Si potrebbe dire di questo libro di Piccolo che è, forse il primo, romanzo di formazione di un teleutente. E sarà per via che si parla spesso di Berlinguer e di Aldo Moro, ma verrebbe da precisare (è un verbo questo che viene spesso utilizzato nel libro) “di un teleutente di quando la televisione era in bianco e nero”.

Le poche volte che interagisce con persone in carne ed ossa si accorge di essere inadeguato. Le persone con cui ha a che fare nel libro sono alcuni ragazzini, quando entrano alla Reggia di Caserta scavaldo un muretto. Il padre e la mamma. Anche la mamma, anche se non come i media, gioca un ruolo non indifferente nella sua visione del mondo. È grazie a lei che individua il momento esatto in cui è diventato superficiale. Una zia e uno zio. Alcuni amici della sua medesima estrazione sociale con i quali va alle feste e in discoteca. Un amico, Alessandro, con cui si vede ogni giovedì per giocare a Tennis. Un fugace incontro con Attilio Bolzoni e Giuseppe Davanzo. Un altro con Nani Moretti. Ma i veri incontri sono, come già detto, con libri (Camilla Cederna), film ( Come eravamo, La terrazza) articoli (Nalia Ginsburg, Eugenio Scalfari) e televisione. Un articolo addirittura se lo porta sempre dietro con sè nel portafoglio come talismano. Dalla lettura di questo articolo gli sembra di aver scoperta l’essenza del comunismo: uguaglianza vuol dire avere uguali condizioni di partenza non di arrivo.

Messa così come ho fatto finora sembra un libro molto sciatto. Invece non è così. Francesco Piccolo è uno scrittore bravo e anche se racconta cose da niente lo fa bene. “Cose da niente” si fa per dire. Perchè tutto ciò che ci succede nella vita è degno di nota. Se poi a raccontarle queste cose da niente è Francesco Piccolo, leggerle non è tempo perso. Piccolo ci fa un ritratto di un italiano (lui) come tanti, che sono forse la maggioranza. Un ritratto intimo fra il romantico e il freudiano, con corpose digressioni sociologiche (si cita spesso Weber) che fanno di questo libro anche una specie di saggio.

Dove tutti si dicono non berlusconiani. Dove tutti si lamentano di come è ridotto male questo Paese e dove tutti dicono di voler scappare altrove. Ma poi Berlusconi lo votano. Francesco Piccolo dice di no, lui non lo vota. E noi ci crediamo. Ma anche se avesse confessato il contrario avremmo fatto come sua moglie: evvabè, avremmo detto, che sarà mai. Poi avremmo ripreso a guardare la tv o a leggere il giornale o qualche libro. Perchè in fondo in fondo il nostro desiderio di essere come tutti vuol dire toglierci dall’impiccio di essere cittadini consapevoli, e crogiolarci invece nel ruolo soporifero di teleutenti.

Siamo talmente abituati a veder succedere le cose negli schermi o sulla carta al punto da considerare che non c’è vita vera se non davanti a uno schermo o davanti a qualcosa da leggere. Ci sentiamo rassicurati a far la parte del pubblico. Destra e sinistra in fondo sono solo tifoserie contrapposte. Ma la partita vera sono altri a giocarla. Noi ci godiamo lo spettacolo. Una volta si perde, un’altra si vince, qualche volta si fa pari. Ma non bisogna farne un dramma, che sarà mai. Forse sbaglia Piccolo a dare della superficiale a sua moglie: è solo sportiva. Come Piccolo, come tutti gli italiani: gente tranquilla sì, ma guai a toglierle il calcio o il telecomando.

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