Una ricchezza culturale che ha diritto di cittadinanza

Nell’augurarvi un buon 2012 intanto ne approfitto per chiudere in bellezza questo 2011. Vi lascio dunque con questa bella intervista che ho rilasciato a Oriana Baldasso ( blogger esperta in tematiche interculturali).

Mohamed Malih è uno scrittore Marocchino-Senigalliese, autore del blog Stracomunitari, in cui cerca di parlare di intercultura ed immigrazione ma non solo. E’ mediatore interculturale a chiamata. Migrante di lungo corso, articolista estemporaneo su quotidiani online, ogni tanto poeta. Ha vissuto a Padova per studio, a Senigallia per motivi di famiglia.

Ho potuto leggere alcune delle sue poesie e dei suoi ironici post sul blog e ne son rimasta colpita. Scrive molto bene. Vale la pena di contattarlo per conoscere meglio alcuni aspetti del suo percorso ed il suo punto di vista su un’Italia in cui viviamo entrambi, ma che lui guarda con occhi da migrante, che si sente partecipe, ma non ancora riconosciuto pienamente cittadino del paese in cui ha scelto di vivere.

Da che città/zona proviene, cosa racconterebbe del suo contesto familiare e sociale?

Vengo da Casablanca, in Marocco. Sono il primo figlio maschio di una famiglia numerosa. Secondo la nostra tradizione, questo status ha fatto di me un privilegiato. A partire dal nome, Mohammed, che è il nome del profeta e che è prerogativa, appunto, dei primogeniti maschi. Come primogenito sono stato oggetto di una – diciamo così – reverenza da parte della famiglia, che non mi ha lasciato del tutto indenne.

Pensa che il contesto in cui è cresciuto l’abbia aiutata nella scelta di emigrare?

Per dirla in parole povere, il mio destino era quello di essere viziato. Devo dire che questa cosa non è che sia stata granchè propedeutica per quel gran passo che ho poi dovuto affrontare più in là, e cioè fare l’immigrato. Per educazione ero ben attrezzato, tutt’al più, ad affrontare tutti i pro e i contro di una vita da bamboccione. Nel nostro contesto sociale c’è un proverbio marocchino che dice “non abbiamo granchè, ma nulla ci manca”. Questo per dire che provengo da una famiglia non ricca, ma piuttosto benestante. Mio padre è titolare di una piccola ditta di autotrasporti. Possediamo anche qualche piccolo terreno. Grazie a questo fatto, le vacanze estive le passavamo in campagna dove abitava mia nonna, pace all’anima sua.

Tuttavia, il contesto da cui provengo mi ha abituato sin da piccolissimo alla diversità. Mia nonna era nera di carnagione, invece mio padre ha gli occhi verdi. La televisione in Marocco è bilingue: francese e araba. E come non bastasse i miei hanno deciso di iscrivermi a una scuola italiana dove accanto al programma statale italiano si studiava anche quello marocchino. Avevo anche qualche compagno di scuola italiano, oltre ai professori. Tutta questa diversità è un bagaglio sicuramente prezioso per uno che sceglie la carriera di immigrato, lei converrà con me.

Quando e come è nato il suo desiderio di partire?

Partire per me è stata una scelta quasi obbligata. Avendo fatto tutti gli studi in una scuola italiana, era scontato che poi scegliessi anche una università italiana. Comunque, anche per me, come per la stragrande maggioranza dei miei coetanei di allora, desiderare l’Europa era inevitabile. L’Europa era la nostra America.

Ci racconti quando e come è nato la passione per lo scrivere e i successi che ha raccolto praticando questa sua passione.

Fin da piccolo ho colto l’importanza di fissare, scrivendole, le storie che valeva la pena conservare, iniziando dalle storie della mia famiglia, che mi servivano a definire la mia stessa identità. La poesia invece mi ha cercato ovunque andassi, per desistere poi solo all’ennesimo trasloco, quando inevitabilmente qualche verso veniva irrimediabilmente perso. Poi immancabilmente ricominciavo su un nuovo quaderno.

Come blogger e scrittore ho partecipato ad alcuni concorsi per migranti ed ho vinto un concorso con la casa editrice Mangrovie con un racconto che s’intitola ‘Tradurre Kamal‘. Una mia poesia è stata scelta come epigrafe per un libro di racconti che s’intitola Ronde e Rondini.

L’epigrafe fa così:

Carovanieri insonni
su dune d’asfalto
e notti senza cielo
inseguono
intimi miraggi.

Inoltre ho vinto il secondo premio per la sezione poesia del premio letterario “Scrivere altrove”, dedicato a stranieri che vivono in Italia, promosso da “Mai tardi-Associazione amici di Nuto” e dalla Fondazione Nuto Revelli onlus. Ho partecipato poi al premio “Buongiorno Italia”, dedicato ai 150 anni della nazione e sono stato fiero di aver vinto con il racconto “Viva l’Italia!” il secondo premio, in quanto si trattava di un concorso non rivolto ai soli scrittori migranti. Hanno pubblicato il racconto su Flanerì web.

Collaboro inoltre da tempo a www.viveresenigallia.it: è una piazza virtuale dove si discute delle cose della città. Tempo fa a Senigallia c’era una via che era ritenuta un ghetto per immigrati, sulla stampa locale erano quotidiani i titoli allarmistici, al riguardo. Quando Michele Pinto mi ha detto che, volendo, potevo usare lo spazio del suo giornale online per rispondere ho preso la palla al balzo. VivereSenigallia è stato per me la scoperta del web e delle sue potenzialità anche in chiave di comunicazione interculturale. Dall’incoraggiamento di Michele Pinto è nata l’idea di Stracomunitari nel 2007.

Di quali progetti/libri si sta occupando ora?

Recentemente un editore ha accettato di far un libro di parte del materiale pubblicato nel blog. La cosa è in progress e quindi è meglio riparlarne più in là.

Sono stato invitato da uno dei suoi fondatori, lo scrittore e blogger algerino Karim Metref, a collaborare con la rivista online e cartacea Glob011, progetto promosso a Torino da un gruppo di giornalisti italiani e stranieri che si incontrano e discutono su come poter promuovere un’informazione corretta e approfondita, raccontando la metamorfosi di una società che sta diventando sempre più interculturale da più sfaccettature.

Essere uno fra i blogger stranieri più seguiti in Italia la esenta dal subire discriminazioni o episodi di razzismo?

Assolutamente no. In fondo il blogger è una specie di Avatar, vive di vita virtuale. Tutt’altra cosa è vivere il quotidiano. In ambito interculturale, c’è parecchio da fare. Conosciamo i problemi di convivenza che l’immigrazione comporta, e sappiamo altrettanto bene come questi disagi si prestano bene ad essere strumentalizzati politicamente. Per farla breve direi che il compito degli intellettuali è di dar risalto alla ricchezza e alla bellezza insite in ogni diversità.

«Quasi il 40 per cento degli immigrati laureati svolge un lavoro non qualificato, il 60 per cento se si considerano i diplomati» dichiarava Otto Bitjoka l’11 novembre del 2009 al quotidiano La Repubblica. Come pensa che nel suo ruolo potrebbe aiutare altri giovani immigrati a raggiungere obiettivi di successo?

Più vengono valorizzati i casi di successo di immigrati e più i giovani immigrati hanno dei modelli di riferimento a cui ispirarsi. Alla fine vedere casi di successo di altri immigrati è allo stesso tempo un motivo di orgoglio e uno stimolo per ritenere raggiungibili i propri obiettivi.

Per le donne sue connazionali è più difficile, rispetto agli uomini, raggiungere le proprie aspirazioni sul lavoro in Italia?

Credo di sì, purtroppo. Ma questo vale anche per le donne italiane.

Parlando dei bambini extracomunitari che si inseriscono nelle nostre scuole.. pensa che la scuola italiana li accolga con imparzialità e rispetto o che siano svantaggiati rispetto ai coetanei che studiano nel paese di origine?

Vivendo in Italia è giusto che frequentino una scuola e compagni italiani. Spesso questi bambini di seconda generazione sono italiani a tutti gli effetti, perché sono nati e cresciuti qui. Il rischio pedagogico in questo caso potrebbe essere quello di mettere troppa enfasi sulla diversità, magari additando questi bambini come fossero campioni di esotismo. Ma sono ottimista: vedo buona parte del corpo docente delle scuole italiane molto sensibilizzato riguardo all’educazione interculturale e perciò sono molto fiducioso.

Diventare una società interculturale migliorerà questo Paese? In particolare, l’Africa di quali valori può arricchire gli italiani?

Certo che sì! Anche perchè non credo che esistano più paesi che non siano interculturali. Pretendere che l’Italia rimanga monoculturale sarebbe un controsenso storico. Gli africani che immigrano in Italia hanno il vantaggio di essere già abitutati alla diversità. Il fatto di essere stati colonizzati, oltre ad avere varie conseguenze negative, li ha però abituati a convivere con gli stranieri. Per cui abbiamo interiorizzato lo spirito di tolleranza. Gli immigrati ad esempio potrebbero aiutare a diffondere questo modo di vedere le cose anche nel paese che li ospita. Certo parlare di Africa è un po’ generico; ci sono enormi differenze fra i popoli del continente, oltre ad alcuni aspetti comuni. Il modo di relazionarsi agli anziani, ad esempio, penso sia un aspetto comune agli africani: io penso che in Africa ci sia una comunicazione intergenerazionale più armoniosa. Portare rispetto alle persone anziane è una cosa naturale in Africa. Non dico che qui non sia così, dico solo che qui stiamo diventando un po’ troppo prosaici e più che portare affetto al genitore anziano o al nonno, magari alcuni prestano più attenzione alla sua pensione.

Quali i suoi consigli per migliorare l’integrazione degli immigrati in Italia? Cosa prioritariamente dovrebbe fare un governo che ammetta l’inesorabilità della trasformazione dell’Italia in una società interculturale?

Se c’è un consiglio per migliorare l’integrazione è quello che rivolgo agli immigrati stessi. Dobbiamo prendere coscienza che siamo una ricchezza per questo paese e cercare i modi più consoni per comunicarlo ai suoi cittadini questa realtà. Un governo che ha poi la lucidità di ammettere l’inesorabilità del fenomeno non può non essere abbastanza lucido per vedere anche le potenzialità in termini di ricchezza e quindi in definitiva di benessere che questo apporta all’Italia. Quindi ciò che può fare è facilitare e velocizzare i tempi per la piena cittadinanza.

Vorrebbe aggiungere qualcosa per incoraggiare i giovani ambiziosi (immigrati e non) in Italia?

A un giovane ambizioso che sta leggendo questa intervista, il consiglio che vorrei dare è: non perdere altro tempo, alzati e datti da fare per raggiungere i tuoi obiettivi. Anche a costo di emigrare

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