Introduzione al mondo

libro
Introduzione al mondo, di Idolo Hozhvogli

Già dalle prime parole lette non capivo. Ma ho continuato ugualmente a leggere. Capendo a sprazzi. Intuendo talvolta. Intanto nella mente germogliava il primo giudizio da recensore, un abozzo del profilo dell’autore: è un ragazzo intelligente, di un’intelligenza ostica.
Questi pensieri, utili per la recensione, tuttavia mi distoglievano dalla trama. Perchè la trama non esiste, o io non l’ho afferrata. Non dimentichiamoci che, lo ripeto, siamo di fronte a un’intelligenza ostica.
È un auotre cioè di quelli non facili, di quelli che danno da pensare. Mi vien da pensare infatti che esiste un intelligenza bella e altre che non lo sono. L’autore, è questo è la mia seconda osservazione da recensore, è portatore di un’intelligenza non bella. Di quelle intelligenze che non ti affascinano ma ti indispongono. Ti irritano. E allora a questo punto mi scatta una sfida personale con l’autore.
Il recensore indisposto a questo punto si mette a frugare nel suo armamentario lessicale alla ricerca di parole taglienti per vendicarsi della supponenza dell’autore, che invece di regalare un quarto d’ora di sana evasione, ti mette di fronte a temi scottanti quali : il senso di estraneità che vive sulla sua pella l’immigrato, la cacofonia di una comunicazione dall’alto che veicola messaggi atti a intorpidire le coscienze, il tema dell’identità, del Noi e dell’Altro…; con toni a tratti poetici, a tratti sapienziali, a tratti da manuale da radio elettra, con qua e là e sprazzi di genialità. Ed ecco allora che il recensore si trova quasi costretto a infilzare l’incauto autore con un aggettivo all’altezza della situazione: postmoderno.
Postomoderno fino al midollo. La trama frammentata e sincopata è sintomo evidente di postmodernismo. Idem per la metanarrazione.
Non so quanto post moderna, ma senz’altro efficace, è la trovata del’altoparlante come metafora di questa nostra società della comunicazione. Altoparlante che con l’ausilio di termini crudamente tecnici, l’autore viviseziona e ne estrae i singloli elementi per mostrarceli e renderci edotti dei subdoli artefizi persuasivi che ci rendono consumatori compulsivi, in balia agli “spacciatori di felicità”.
Il suo dichiarao debito a KafKa, Paul Eluard, Walter Benjamin sono, infine, la prova provata del suo postmodenismo.

Ora la chiusura: è un libro complicato di un ragazzo intelligente. Una lettura non facile, per lettori esigenti, possibilmente allergici ai best seller. Uno scrittore migrante che nulla concede all’esotico e al folcloristico.

(il libro mi è stato offerto gratuitamente per una recensione)

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