Da un lato la politica che mette in guardia dagli stranieri. Sempre dallo stesso lato fra le etnie vengono innalzate barriere anti commistione, netto discrimine fra il bene e il male. Le etnie con le relative culture d’appartenenza sono il bene quando ovviamente sono italiche. A difesa di tanta purezza stanno i soliti giovin politici le cui carriere veleggiano alla grande. I venti xenofobi che battono l’europa soffiano sempre a loro favore, ce l’hanno sempre in poppa.
Ma ora siamo nella stagione dei festival e non sta bene parlare di queste cose.
In tutte le città c’è una sorta di armistizio. Una tregua. Si quietano le ronde. Scemano le aggressioni a sfondo razziale. O almeno questo sembra dai giornali locali che d’estate sembrano preferire altre prede, e per un po’ degli stranieri vittime e carnefici si sente parlare con meno insistenza. Anzi si scopre il lato gioioso e giocoso degli stranieri. E quindi via con le Kermesse, le rassegne, le feste ed i festival.
In tutta Italia, da Nord a Sud, si innalza un inno alle culture. Le amministrazioni si sbizzariscono in titoli da dare a queste rassegne. A Ravenna abbiano il Festival delle culture. A Senigallia siamo alla terza edizione della festa dei popoli.
Laddove per tutto l’anno non si trovavano due lire per un corso d’italiano, o un simil tetto per protteggere dal freddo i tanti senza casa, o per mettere qualche mediatore in più nelle scuole… all’improvviso budget di tutto rispetto vengono sperperati nel giro di due o tre giorni. Vengono messe su delle carnevalate in cui le culture sono chiamate a mettersi a lustro e sfilare per le piazze inscenando ipocrite pantomine pseudo-culturali, pagliacciate di pessimo gusto in cui si mischia il cuscus ai balli tribali, la paella alla danza del ventre, il non so cosa al non so cos’altro, un orgia pagana, un vero insulto alle tradizioni, un meltingpot alle vongole, numeri circensi tirati fuori direttamnete dal cilindro di una società scopertasi magicamente multietnica. Il tutto con la complicità di alcuni nostri cosiddetti rappresentanti di noi marocchini, algerini, peruviani, ecc, che non venendo mai interpellati per alcunchè nelle politiche che li riguardano, interpretano il loro coinvolgimento in queste kermesse, quando sono in buona fede, come un riconoscimento al loro presunto ruolo di guida delle loro comunità di riferimento. Quando invece sono in malafede, questa è solo un occasione per racimolare qualche soldino. Le amministrazioni non mancano mai di elargire qualche briciola a questi stranieri perché inscenino i loro usi e costumi.
Davvero siamo alla svendita delle culture. Un mercato rionale dove nelle bancarelle si mercanteggiano feticci identitari. Siamo anzi alle marchette culturali. Sento impellente il bisogno di dissociarmene.
Dopo un anno di leggi razziste, dopo un anno di dichiarazioni da apartheid, dopo i morti ammazzati di Castelvolturno , dopo le umiliazioni che quotidianamente ci vengono inflitte, ora, con il bene placido dei migliori di noi va in scena questo scempio delle culture.
I migranti intellettuali spesso fanno da testimonial a questi festival, sono chiamati come consulenti, o a recitare le loro poisiuole sulla migranza, a presentare i loro volumetti sulla diaspora, e tutti giulivi ad autocelebrarsi, mai che si alzi una voce da parte di costoro per denunciare i sorprusi e le ingiustizie di cui sono vittime gli immigrati.
Invece di spendersi in queste cause si accontentano di fare i saltinbanchi; girano da una fiera all’altra, da un festival all’altro riducendo e svilendo il ruolo di intellettuali della diaspora a mere comparse folkloristiche in queste sagre della cultura.
Contro il pacchetto sicurezza e la visione umanitaria che lo sottende, contro il razzismo, contro lo sfruttamento degli immigrati, per rispetto dei tanti morti annegati rivolgo un appello agli immigrati, ai nostri intellettuali, agli amici e ai partiti italiani e ai loro esponenti perché, almeno per quest’anno, disertino questo genere di Festival.
Di boicottarli o di usare i loro palcoscenici per denunciare le manchevolezze delle attuali poliche sull’immigrazione. Perché finchè ci fanno la festa non abbiamo nulla da festeggiare.
hai perfettamente ragione Malih. Basta con l’intercultura del cuscus e dei tamburi africani. E’ questa folclorizzazione della diversità, questo chiudere gli occhi sui problemi veri che ci ha ortato a questa situazione da pogrom in cui viviamo.
la prospettiva mi pare corretta e significativa. C’è da dire, sono talvolta gli stessi che operano tutto l’anno nella formazione e nelle pratiche di integrazione a organizzare festival di questo tipo, nella consapevolezza che sicuramente l’evento non è sufficiente. Il passo in avanti che compi tu è indicare il lato di complicità al disastro. A mio giudizio due sono le vie, parallele, per agire politicamente in questo scenario: per un verso forme di pensiero radicalmente interculturali, studio matto e disperatissimo, per l’altro l’organizzazione collettiva delle soggettività migranti a prescindere dai riferimenti identitari. Avevi sentito questa intervista a Saviano? http://www.youtube.com/watch?v=5cKqweOhz-k