ancora sulle feste dei popoli

Le reazioni che hanno accoloto il mio post precedente mi inducono a rimuginarci ancora sopra.
Evidentemente la puzza di bruciato che si avverte di fronte all’enfasi di termini come popoli, culture…,non sono l’unico ad avvertirla.

Ma se si trattasse solo di questo la cosa andrebbe semplicemente ascritta a una reazione olfattiva, magari comprensibile e più o meno condivisibile. Si finirebbe insomma nella sfera dell’opinabile e quindi grazie tante, lieto d’averla conosciuta e …avanti il prossimo.

Quello che ci vuole, mi son detto, sono delle pezze d’appoggio teoriche.
Il che, nel campo delle scienze sociali, chè non sono la matematica, si riduce inevitabilmente a intercalare il proprio ragionamento con citazioni di “eminenti studiosi”, certamente di “chiara fama” e che hanno alle spalle pubblicazioni che sono “pietre miliari”.
All’uopo sono andato a scomodare tre campionissimi: Bauman, Eco, e Marco Aime
I primi due sono arci noti. Bauman soprattutto. La sua meritoria opera di divulgazione è onnipresente, e certi suoi elzeviri spuntano inaspettati anche dove meno te l’aspetti; come nei saloni da baebieri ed esempio. In questo microclima ideale dove cresce eprolifica il gossip, può capitare d’imbattersi, fra un seno rifatto e l’utimo amorazzo della velina di turno, in repentini sprazzi di sociologia da rotocalco che ci intrattengono su questo nostro mondo tutto liquido e globalizzato.
Se solo ci fosse un nobel per la popcultura Bauman sarebbe il primo ad aggiudicarselo.
Marco Aimè, invece, è più per addetti ai lavori, per palati fini e per topi da biblioteca.

Ma andiamo con ordine e cominciamo proprio da Marco Aimè:
Da eccessi di culture (Giulio Einaudi 2004)
Parole come cultura, identità, etnia, razzismo, compaiono con insistenza nei discorsi dei politici, sulle colonne dei giornali, nei dibattiti televisivi, e la sempre maggiore enfasi posta sulle culture e sulle loro presunte radici conduce a una crescente attenzione verso il locale e i localismi, alcune dei quali vengono poi impugnati e caricati di aspirazioni globali. Molti dei cosiddetti “conflitti culturali” che sembrano caratterizzare la nostra epoca, spesso sotto la patina della cultura celano ben altre spinte, ben altri interessi.
Può sembrare paradossale che sia un antropologo a denunciare l’attuale eccesso di attenzione alle culture, alle diversità, alle identità, ma il rischio è che il troppo relativismo si trasformi in una nuova mas chera della discriminazione
La mia puzza di bruciati somiglia molto a questa “nuova maschera della discriminazione”, a questo nuovo razzismo che sta sempre più prendendo piede: il razzismo culturale. Che è tutt’altra cosa rispetto al razzismo su base biologica , ed è altresì altra cosa rispetto a quel moto istintivo di fastidio o paura che si può provare rispetto a un “diverso”.
La ragione di ogni razzismo è la volonta di escludere. E in definitiva escludere vuol dire tenersi per sé delle risorse. Vuol dire definire un “Noi” che che ha diritto a queste risorse e dei loro che non possono accedervi. La manifestazione strema di questo modo di vedere e l’annientamento fisico degli altri. Quella più soft è l’annientamento morale (criminalizzare), giuridico (privare dei diritti di cittadinanza)…Le conseguenza sono in definitiva quella di disumanizzare la persona e a questo punto qualsiasi atrocità non solo è permessa ma non è più nemmeno percepita come tale. Categorie come immigrati, stranieri , extracomunitari…sono tutti ambiti ben definiti dove il razzismo culturale può agire indisturbato. I politici più spregiudicatii infatti usano queste categorie per scagliarle addosso tutto il male possibile. Problemi che sono di ordine sociale ed economico, vengono spostati sul piano etnico. Ed è cio che Marco Aimè chiama etnicizzazione dei conflitti.

Nel mio post precedente polemizzavo con i festival delle culture, feste dei popoli o come altro vengono chiamati. La mia polemica voleva proprio mettere in guardia contro questo eccetto di enfasi sulle culture così ben descritto da Aimè. Solo che nel mio post l’enfasi sulle culture riguarda le feste e non i conflitti. Il fatto che si tratta di feste non deve trarre in inganno perché siamo comunque di fronte ad un uso strumentale delle culture. Un uso speculare a quello dei “conflitti cuturali”, ma non per questo meno discriminante. Nel primo o come nel secondo caso si usa il calderone delle culture per mettere in secondo piano le persone, le loro storie. Nel primo caso si addosano agli stranieri le inettiduni di una classe politica che non saputo governare il fenomeno immigrazione. Nel secondo caso si bypassano tutte le problematiche legate alla convivenza fra oriundi ed immigrati, le mancate politiche per l’integrazione e l’accoglienza, quelle sulla sicurezza e si passa direttamente a festeggiare una società divenuta senza colpo ferire multietnica muticulturale. Dopo la politica dei sondaggi, quella delle inaugurazioni e quella degli annunci siamo passati a quella delle feste. Si passa direttamente a riscuotere. Si da per concluso ciò che non è nemmeno inaugurato e a sugello di tanto impegno si celebra l’avvenimeto con una gran festa.

Per quanto riguarda Bauman,
a parte l’incisa di sopra sui barbieri, e nonstante l’emeroteca del mio in particolare sia abbastanza fornita, non sono riuscito ad estrapolare qualche citazione che possa avvalorare la mia tesi sulle feste dei popoli.

Passiamo quindi ad Eco .
Con Eco voglio chiudere definitivamente questa appassionata discussione nata attorno ai festival dei popoli. A pag 232 , da un pezzo intitololato Cultura come spettacolo e contenuto in Sette anni di desiderio(tascabili bompiagni 2000), ecco cosa dice Eco a proposito dell’istituzzionalizzazione delle feste:
:Nel momento in cui le fetse sono diventate oggetto di amministrazione comunale, investendo una intera città nei suoi stati meno marginali (e sono sfuggite di mano a che appunto le organizzava ai margini), non saremo così snob da dire cha han perso ogni sapore, maindubbiamente sono diventate un genere, come il romanzo poliziesco, la tragedia classica, sinfonia o il ballo “a palchetto”. E di fronte a tante nuove estetiche, sociologiche e semiotiche della festa, non c’è più nulla da dire.

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3 Responses to ancora sulle feste dei popoli

  1. Giulia says:

    caro malih, come sempre mi trovo in sintonia con le tue parole, tanto più che gli autori che mi citi sono per me pane quotidiano. mi dispiace dirti che, anche con citazioni colte, quelli che ti sono andati contro non verranno convinti, tanto sono grandi le loro pezze sugli occhi. qui vorrei aggiungere solo un piccolo contributo a quello che hai detto, citandoti Annamaria Rivera, un’antropologa molto brava cheinsigna a Bari. La Rivera mette in luce in modo chiaro come oggi la parola cultura abbia sostituito la parola razza. Oggi più nessuno parla di razza (se non pochi signori del nord est), perchè è diventato politicamente scorretto, ma il vuoto semantico lasciato da questa parola è stato presto riempito dalla parola cultura. Quando noi diciamo: sono diversi da noi perchè hanno una diversa cultura, stiamo facendo una cosa che gli antropologi hanno sempre stigmatizzato, stiamo cioè essenzializzando, fissando per sempre, una cosa, la cultura, che invece è fatta di rapporti continui con altri popoli diversi da se, è una cosa fluida e in divnire. Se si ascoltano i discorsi di q

  2. Giulia says:

    * qualche politico nazionale la cosa è evidente.

    (scusate mi era partito il tasto sbagliato)

  3. nico says:

    …massima condivisione dell’articolo ieri su metropoli di repubblica… ottimo! lo userò per convincere l’assessore all’immigrazione- integrazione a realizzare quaclosa di più concreto.
    saluti. nico

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