Ciao mi chiamo Silvia, ho 29 anni e sono un’immigrata.

Ciao mi chiamo Silvia, ho 29 anni e sono un’immigrata come tanti altri in attesa di permesso di soggiorno : la mia storia è cosi’ simile e cosi’ differente a tante altre storie di migranti che cercano qualcosa nel mondo. E’ tre mesi ormai che vivo in questo Paese : sono una persona fortunata. Sono arrivata con un contratto di lavoro in mano, un contratto annuale e sono arrivata qui piena di aspettative, curiosità ma anche di ansie e paure. Non sto realmente scappando dal mio Paese, anche se mi sembra ormai un paese alla deriva, in crisi, dove non c’è più lavoro e i giovani cercano di scappare per cercare fortuna all’estero. Sono partita il 1 marzo con due valige dove ho cercato di mettere tutti i ricordi e le cose che non avrei potuto trovare qua: una lettera dei miei amici, un dolce fatto dalla mamma, una foto di mio fratello, un pupazzo di pezza della mia infanzia. Com’è difficile partire, anche se a volte è necessario.
Appena arrivata qua, ho subito impattato con una realtà cosi’ diversa dalla mia, che mi ha lasciata frastornata : i colori, i profumi, i rumori, tutto mi è rimbalzato addosso… La prima cosa che ho imparato, restando qua, è che, volente o nolente, sono diversa: io sono una straniera. La mia pelle, i miei capelli sono differenti, tutti mi guardano per strada, mi scrutano… chi lo fa piu’ discretamente, chi in maniera piu’ insistente. Ci sono dei momenti in cui non capisco se la mia diversità spaventa, attrae o semplicemente è qualcosa di sconosciuto.
Ho iniziato a lavorare in una scuola di bambini disabili: il primo mese il Ministero dell’Educazione ha bloccato il mio accesso alle scuole per motivi burocratici. C’erano da fare dei controlli… ma come, io ho un contratto di lavoro, ho un datore di lavoro, e sono una professionista, ho una laurea in tasca. Perchè tutti questi controlli ? Nessuna risposta… dopo il primo mese, fortunatamente, le cose si sono sistemate e ho iniziato a fare il mio lavoro, ad accogliere le famiglie di bambini disabili che hanno bisogno di un appoggio medico, psicologico e sociale. La scuola si trova in un quartiere periferico della capitale, ogni giorno per arrivarci, dato che non ho la macchina, devo fare più di un’ora di bus.
Inizialmente neanche lavorare è stato facile: anche se mi sto sforzando di seguire dei corsi di lingua per potermi esprimere meglio per capire e farmi capire, è molto difficile ancora, per me, sentirmi a moi agio, comunicare quello che penso, che sento e che provo quotidianamente : le frustrazioni che vivo, le difficoltà, le paure, ma anche le piccole soddisfazioni e le gioie quotidiane.
Perchè per quanto io mi sforzi, sono e restero’ sempre una straniera : una migrante che si sente un po’ sola, che ce la deve fare da sola, senza l’aiuto della famiglia, che deve lottare ogni giorno per strada per avere rispetto, perchè la diversità non sia un ostacolo, un limite, ma una risorsa che arricchisca tutti.

PS : Ringrazio Silvia – giovane italiana – per aver accettato di raccontarci la sua breve esperienza di migrante in Marocco.

Fonte: Linkiesta

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