L’indole dei bengalesi

Nella calura di un dopo pranzo di un giorno d’agosto nel porto di Senigallia regna il silenzio. Al molo, stretti gli uni agli altri, riposano i pescherecci. I gabbiani si contendono i pesciolini ed altri rimasugli che i ragazzi impegnati a sistemare le reti buttano in acqua. Sono tutti bengalesi, i ragazzi. Sistemano le reti direttamente dentro al peschereccio o sul molo nei dipressi delle imbarcazioni, riparandosi dal sole con qualche liso ombrellone. Ogni tanto battono le reti con un martello per meglio districarle. Questo martellare periodico e fioco, insieme alle zuffe poco convinte dei gabbiani, sono gli unici suoni che si sentono a quest’ora nel molo di Senigallia.

Saranno le 4 del mattino. Alla piazza del Foro Annonario di Senigallia si comincia ad allestire il mercato della frutta e verdura. Attorno a un camion rosso s’aggirano 3 o 4 ragazzi. Scaricano le casse, montano le bancarelle… Sono tutti bengalesi, i ragazzi. Compiono le loro mansioni con gesti lenti e silenziosi, con fare da sonnambuli.

A tarda notte, nei pochi locali ancora aperti nel centro storico di Senigallia, qualche ragazzo s’aggira fra i tavoli cercando, più a gesti che a parole, di vendere rose scure e non proprio freschissime. A vendere le rose, a quest’ora della notte, sono tutti ragazzi bengalesi.

Ok, si tratta solo di lavoratori: bisogna pure campare e i ragazzi bengalesi s’ingegnano come possono. Ma a differenza di altri stranieri che lavorano a contatto con il pubblico dei ragazzi bengalesi nessuno si lamenta, come succede ad esempio per i parcheggiatori abusivi. Il mio barista (dovete sapere che il mio barista è un pozzo di sapienza. Oltre – come tutti bravi baristi ed i bravi barbieri – ad avere imparato a conoscere la gente e uno che legge e che si tiene informato. Passa più tempo a trafficare con l’ipad che a fare cappuccini. Ogni volta che voglio chiarirmi le idee su qualche argomento, passo da lui, chiedo un caffè e butto lì, a mo’ di esca, un accenno all’argomento che al momento mi sta a cuore. Lui, come sempre, abbocca.) dice che che è “per via della loro indole“. ” Non ho mai visto un ragazzo del Bangladesh alzare la voce o litigare“. E come mai, gli chiedo, sono tutti del Bangladesh i ragazzi che lavorano al porto? Questa volta però mi risponde Rana, un signore pakistano da molti anni in Italia: “perchè anche in Bangladesh fanno i pescatori, è il loro mestiere e se ne intendono di pesce e di pesca. Le loro case puzzano sempre di pesce. Sono gli unici a riuscire a spinare il pesce direttamente in bocca, trattenendo le spine in una guancia e nel frattempo masticare con l’altra, per sputarle solo a pesce ultimato.” A questo punto faccio presente che anche al mercato della frutta sono tutti del Bangladesh gli stranieri che ci lavorano. Il barista questa volta si lancia in una vera lezione sulla conformazione geogafica del Bangladesh, del suo essere sotto il livello del mare sempre a rischio di essere inghiottito dalle acque, del clima (il mio barista sa tutto delle correnti marine, dell’anticiclone delle azzorre… Bernacchia al confronto era un dilettante) e delle abbondanti piogge. Insomma in Bangladesh la gente oltre ad intendersi di pesca se la cava bene anche con l’ortofrutta. E allora con i venditori di rose, come la mettiamo? E qui il barista ritira fuori l’indole del bengalese. “Ma tu te lo immagini un marocchino fra i tavoli, sempre sorridente, a offrire rose? Diciamocelo francamente: non è un lavoro proprio da maschi”. E sorride benevolo, come a dire che non sta mettendo in discussione la virilità dei bengalesi, ma che è solo una questione di indole. A questo punto, con una piega sardonica sulle labbra, interviene nella discussione un ragazzo tunisino ( sì, è un bar dove bazzicano molti stranieri): ” Il Bangladesh è lontano, molto lontano. Se io mi ubriaco e faccio cagnara e mi danno il foglio di via posso rientrare in Italia quando voglio, Lampedusa è a due passi da casa mia. Se sono del Bangladesh invece è tutta un’altra storia.

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