Schiavi gratis

La stagione degli sbarchi è alle porte e ad annunciarla, quale
primizia, sono le carrette del mare che da qualche giorno vengono messe in salvo dalle Guardia costiera nei porti di Lampedusa e di altri porti della sicilia, mentre si susseguono avvistamenti e segnalazioni di altre imbarcazioni ancora al largo.
Ma la Sicilia sta perdendo l’esclusiva. La battaglia contro l’immigrazione clandestina si combatte ora su più fronti, tanti quanti sono le nuove rotte e le diverse modalità che gli scafisti percorrono ed escogitano per continuare nei loro lucrosi traffici.
Infatti non è poi così raro che i bagnanti delle spiagge della Sardegna debbano interrompere il relax della tintarella per prestare soccorso a clandestini all’estremo delle forze perché scaricati dagli scafisti troppo lontano dalla riva per non correre inutili rischi, fare dietrofront e subito dileguarsi coi loro agili gommoni.

Passata la stagione degli sbarchi, i suoi clamori mediatici, seguirà inevitabilmente il silenzio e ci si dimenticherà dei morti annegati. Un triste destino però attende anche clandestini che giungono vivi alla meta: una vita da schiavi. Schiavi della criminalità organizzata, schiavi dei vari capolarati per i quali dovranno sputare sangue in cambio di pochi euro per la raccolta di pomodori, nell’edilizia e in mille lavori e lavoretti dove servono braccia che lavorino duramente senza campare pretese di diritti sindacali o di altra sorta. Un clandestino affamato, c’è da stare tranquilli, sicuramente penserà solo a lavorare e stare zitto. Non ci sono carte da firmare o contratti da sottoscrivere. Vige un’unica regola non scritta, tacitamente siglata , come usa fra gentiluomini, con una maschia stretta di mano: soddisfatti o rimpatriati.
Il mercato degli schiavi è alquanto florido e redditizio. Non c’è più neanche più bisogno di battere le coste africane con navi negriere, per procacciarseli gli schiavi. Ora gli schiavi sono, di propria iniziativa, disposti a correre rischi vitali e pagare cifre consistenti per poi consegnarsi nelle mani dei loro padroni, rassegnati docili e riconoscenti. Stanislaw J. Lec diceva: Ci sono stati tempi in cui gli schiavi bisognava comprarli legalmente. Altri tempi.
Rimane da chiedersi il perché di tutto ciò. Io credo sia per un idea che si ha dell’Europa. Che poi coincide con la stessa idea che i media, gli europei all’estero e gli stessi immigrati di ritorno veicolano e di continuo alimentano e che dice: noi viviamo nel paese del bengodi dove tutti i diritti sono garantiti a tutti e a ciascuno indistintamente, dove abbiamo tutte le comodità, dove uomini e donne pari sono, dove la democrazia la fa da padrona, dove c’è il massimo della libertà, dove da mangiare ce n’è per tutti e anzi ne avanza, giriamo in macchine lussuose, abitiamo in case identiche a quelle di Ridge, la nostra morale è più o meno quella di Beatifull, siamo talmente buoni e caritatevoli che non c’è che citofonare e vi sarà aperto, chiedere e vi sarà dato. L’effetto di questa pubblicità ingannevole è deleterio; è come strofinare del lardo sul muso di un cane affamato e legato. Prima o poi spezzerà la catena, si trangugerà il lardo e la ferocia accumulata per la lunga cattività farà il resto.
Il “resto” è imponderabile. Auguriamoci allora che il futuro non ci riservi nulla di apocalittico da dover rimpiangere, un giorno, le sommosse delle banlieu o le rivolte meneghine di Chinatown.

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5 Responses to Schiavi gratis

  1. Laura says:

    Ciao Mohamed,
    Sono pienamente d’accordo con te!
    Anche le pubblicità che vanno in onda danno una visione sbagliata dell’Italia:

    Persone che di mattina hanno il tempo di fare colazione tranquillamente con tutta la famiglia riunita, che vanno a lavoro con macchine e moto lussuose…che arrivano in ufficio e fanno il loro lavoro in tutta calma, che hanno il tempo di andare in parestra, fare l’idromassaggio…di fare mega feste con gli amici, e ancora peggio che per il cane e il gatto comprano cibi da re…

    Non mostrano la gente disoccupata, che fatica ad arrivare alla fine del mese; quelli che sgobbano a sangue e non sanno neppure come sia una festa; quelli che vanno a lavoro in autobus o in treno, viaggiando per ore pigiati come sardine , o in bicicletta o su macchine scassate……e che vivono in appartamenti minuscoli… ecc…

    E’ vero , c’è anche chi vive da nababbo…ma in realtà quanti se lo possono permettere?

    Laura

  2. elmons says:

    proprio un bell’articolo..sono d’accordo con te..forse rinunciando all’eccessivo individualismo di quest’epoca qualcosa di meglio si riuscirà a fare…

    continua così 😉

  3. “Volevamo braccia, sono arrivati uomini”, ormai è uno slogan.
    Sui media di tutto il mondo c’è poco da fare affidamento, putroppo. Mi stupisce invece che gli immigrati ‘di ritorno’ non diano un quadro più realistico dell’Italia.
    Perchè?
    Ciao
    R.N.

  4. Malih says:

    Chi ritorna deve giocare la parte dell’uomo realizzato.
    é talmente radicata radicata l’idea che chi emigra deve “farcela” che se provi a dire il contrario questo viene interpretato come un tuo alibi per nascondere il fatto che sei te che non hai saputo sfruttare l’occasione.
    Ciao

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