E tutti vissero felici e integrati

Da extracomunitario ben collaudato (e’ da parecchi anni che sto in Italia) ho vissuto sulla mia pelle parecchi dei disagi che l’immaginario collettivo (occidentale ma anche orientale) suppone che un immigrato debba vivere. Forse inconsciamente me li sono andati a cercare io stesso. D’altronde sono ingredienti necessari per quella storia che ogni buon immigrato e, piu’ in generale, ogni uomo di mondo (o chi vuole passare per tale) si racconta, sogna di raccontare o, come non di rado accade, sciorina non appena ne ha l’occasione. Certo alle prime possono anche essere di qualche interesse ma passato l’effetto sorpresa si ha come l’impressione che siano tutte uguali; cambiano le singole circostanze, ma la musica di sottofondo e’ sempre la stessa e puntuali sono le parole che ne ordiscono la trame: sradicamento, lontananza, nostalgia, ecc. I Phone center, le piazze, i patronati, alcuni bar, le stazioni sono, a seconda delle etnie, i luoghi d’incontro abituali di molti immigrati dove questo genere di storie si sprecano e una buona dose di vittimismo va a mescolarsi a romanticherie nostalgiche che alle volte raggiungono apici di autocommiserazione da far impallidire d’invidia la piu’ sfacciata delle soap sudamericane. Quel che preoccupa e’ che su questo panorama desolante si sta formando l’identita’ di tutta una generazione di migranti, frustrata nel suo sogno hollywoodiano di un happy end all’insegna del “e tutti vissero felici e integrati”. Sono poi questi stessi migranti che vanno ad alimentare code infinite davanti a questure e uffici postali: una folla di flagellanti che si accalca dolorante e rassegnata non per chissa’ quale premio ultraterreno ma poter finalmente avere fra le mani il tanto agognato pezzo di carta azzurrognolo o arancione, il cosiddetto permesso di soggiorno. Di questo variegato materiale umano un’attenta editoria ha fiutato il potenziale letterario e ormai negli scaffali di tutte le librerie e’ tutto un ammiccare di donne col burqa da copertine arabescate. Purtroppo anche fior fior di penne- penso a Magdi allam, ad esempio, pur avendo tutti gli strumenti per giocare un ruolo da protagonisti, di degni intellettuali (e Dio sa se ce n’è bisogno) di questa diaspora si mettono a cavalcare il mansueto mulo dell’attualita’ discettando di Kamikaze, Islam, Oriente e Occidente pescando a pieni mani nel souk chiassoso delle news. Insomma fra le parole dei e sui migranti si sente acuta la necessita’ di piu’ degni cantori che non sguazzino in argomentazioni trite e ritrite, finendo per dare dello straniero un immagine distorta che non saprei come meglio definire ma che e’, tanto per dare un idea, ben che vada, una parodia della parabola del buon samaritano, ma di questo passo, ben presto, andra’ ad assestarsi serafica nell’Olimpo del luogo comune dove troneggia inarrivabile la casalinga di Voghera.

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4 Responses to E tutti vissero felici e integrati

  1. Sinceramente non saprei se Magdi Allam ha gli strumenti per farsi portavoce delle problematiche reali degli immigrati. Quelli ‘veri’, intendo, Quelli in fila per il permesso di soggiorno. Credo che la sua esprienza sia diversa e non è quello il mondo che a lui interessa raccontare.
    Piuttosto, puoi provarci tu…
    Hai una bella penna e sale in zucca. Perchè no?
    Ciao
    R.N.

    p.s. Io scrivo su ‘rivistacce patinate’, per lo più di cose che mi interessano poco. Il pezzo sui giovani giallisti è una delle cose che faccio per hobby 🙂

  2. stefanello says:

    sono sempre lo stronzetto del qual è.
    tu scrivi veramente bene, in italiano, se io sapessi scrivere così in inglese, l’unica altra lingua che conosco, sarei fiero di me.
    devi essere fiero di te.
    ciao
    stefanello

  3. Malih says:

    R.N: mi fai diventare rosso.

  4. Ciao Mohammed, bellissimo il tuo Blog.

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