Come è difficile farsi un’idea. A due passi da casa e in giro per il mondo ne succedono di tutti i colori. Questa metafora dei tanti colori ben si addice a come veniamo oggi informati. Spesso la notizie ci arrivano con la forza indiscreta di qualche brutale immagine. Informare è sempre più sbatterci in muso la realtà, così com’è. O meglio: quella porzione di realtà che l’occhio del cronista riesce a catturare con l’ausilio di aggeggi digitali sempre più sofisticati. Ci arrivano, così, nitidi particolari ma è i’immagine nel suo complesso che perdiamo. Non sappiamo le storie che sono dietro ai fatti. Non riusciamo a farci un’idea, travolti come siamo dal particolare dettaglio. Il ruolo della parola è relegato vi è più a quello didascalico a corredo delle immagini.
L’imposizione del dettaglio ha la prerogativa di schiacciarci sul presente, e ci preclude perciò ogni scorcio del prima (il passato) e ogni sguardo sul dopo (il futuro). Ma anche il presente ci viene reso impoverito: per quanto siano tanti i pixel oggi in dotazione nei moderni apparati fotografici e per quanto sia acuto l’occhio dell’operatore, la realtà che viene così catturata è giocoforza parziale. La nostra sete di capire, di farci un’idea appunto si risolve (in questo mondo mediatico siffatto) a una ricerca affannosa di dettagli. Immagazziniamo una mole gigantesca di dettagli senza aver il tempo di sistemarli in qualche figura intera. Raccattiamo in continuazione dei pezzi di puzzle senza mai giungere a connetterli in una qualche figura dotata di senso.
Questa incapacità di farci un’idea forse spiega in qualche modo il perché oggi è di nuovo in auge la discussione sul ruolo degli intellettuali. Che per l’appunto dovrebbe essere quello di aiutarci a farci un’idea sul mondo in cui viviamo. L’intellettuale è quella figura in grado di spiegarci “la figura intera” anche laddove manchino dei pezzi del puzzle. Ricomporre e restituirci questa complessità è il suo ruolo. Non a caso un’altra parola che ricorre spesso, accanto a quella di intelletuale, è “narrazione”. Narrare è tessere una trama, ricostruire dei contesti, raccontare una storia. Tutto ciò vuol dire appunto andare oltre il dettaglio.
Per vendere meglio le news sembra che il modo migliore sia quello di corredarle con immagini ad effetto. Secondo questa logica, quelle più truculente sono le più efficaci. Dalla Siria ci arrivano immagini e filmati che ci mostrano l’orrore in tutta la sua evidenza, senza nessuna pietà né per le vittime né per noi “utenti”. E noi ci difendiamo con l’assuefazione e la rimozione.
Ovviamente non è solo colpa del mondo dell’informazione senza scrupoli deciso a trarre il massimo profitto dal suo lavoro e che ci propina queste immagini: è che a sua volta questo mondo viene usato per orientare l’opinione pubblica a favore di questa o tal’altra causa. Fatto sta che siamo bombardati da immagini sempre più cruente. Sembra inevitabile che per farsi un’idea di quel che accade noi si debba per forza sottometterci alla violenza delle immagini. Ma questo mondo di procedere non ci aiuta affatto. Ci facciamo sì l’idea che il nostro mondo sia brutto e cattivo, ma questo lo si è sempre saputo. Noi vorremmo saperne qualcosina di più, magari senza arrivare ad auspicare una qualche forma di iconoclastia per il mondo del giornalismo.