A proposito dell’articolo di Pap Khouma

Pap Khouma in un articolo apparso qualche giorno fa sulla prima pagina di Repubblica, ha coraggiosamente messo in piazza il profondo disagio che un cittadino italiano di pelle nera puo’ provare nella pur cosmopolita Milano nell’anno domini 2009. Denunciando la sua situazione Pap Khouma ci ha spiegato come gesti di ordinaria quotidianità possono comportare altrettante occasioni per essere mortificati.
Ordinaria quotidianità vuol dire andare al lavoro, entrare in un edicola, fare il padre, passeggiare nella città e, nel contempo, essere pronti ad incrociare sguardi insultanti o, talvolta, anche incassare parole piene di odio e di misconoscimento.
Basta cioè mettere il naso al di là dei recinti entro i quali è tollerata la tua presenza per essere tacciato da criminale, borseggiatore, intruso ed altri simili qualifiche che ti relegano tuo malgrado nella cerchia dei più molesti borderline.
Pap Khouma non è un cladestino, non è uno che vive di espedienti.
Pap Khouma sta in Italia da molti anni, ha la cittadinanza italiana ed è uno scrittore. Ma a nulla gli è servito salire tutti i gradini della scala burocratica che ci s’immagima debba caratterizzare l’iter del migrante tipo in questo paese: da clandestino a titolare di permesso di soggiorno, ed infine alla vetta ambitissima della cittadinanza italiana.
Evidentemente l’ostilità che sente attorno a sè il clandestino e che spesso viene scambiata per zelo legalitario, è la stessa che si sente addosso anche il migrante di lunga data e con tutti i documenti in regola.
Lo status certificato dalle scartoffie non salva dal trattamento che viene riservato a quell’altro di status certificato dal colore della tua faccia.
Alla tua pelle nera e al tuo fare da extracomunitario viene riservato un trattamento ad hoc. Che non è quello che si riserva agli uomini nè quello che viene riservato alle donne.
Poichè essendo extracomunitario non rientri in nessuna di queste categorie, ma sei un genere a sè stante.
Un genere che porta iscritto nella sua memoria secoli di sopraffazione: sei stato schiavo e fino a ieri eri colonizzato.
Per rendere l’idea di che genere di trattamento stiamo parlando prendo in prestito una colorita espressione usata da un sindaco, in una trasmissione condotta da Barbara D’Urso, per apostrofare una trans mentre si discettava dei costumi sessuali del povero Marrazzo; il sindaco in questione ha detto alla trans che era una feccia della società. In fondo essere vittime del razzismo è lo stesso che essere considerati feccie.
Penso anche che il coraggio mostrato da Pap Khouma nel denunciare la sua situazione sia in qualche modo paragonabile al coraggio che devono trovare le donne vittime di violenza nel denunciare i loro violentatori.
Il genere extracomunitario ha molto da imparare dal genere donna. La donna è da poco che può votare e tutt’ ora lotta perchè li vengano riconosciuti pari diritti e pari opportunità.
Anche all’extracomunitario conviene prendere coscienza della propria peculiarità di genere debole, indagare le ragioni di tale debolezza, fare i conti con la propria storia per poter intranprendere con dignità una qualche sorta di emancipazione.
Ma mi rendo conto che sarà una faccenda lunga e complicata, come lo sono tutte le dinamiche che s’instaurano fra – per usare un altra espressione colorita- vittime e carnefici.

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2 Responses to A proposito dell’articolo di Pap Khouma

  1. Ziaele says:

    Malih, se ce la fai nei prox giorni dà un’occhiata al mio blog: ho intenzione di raccontare l’ennesimo episodio di “scontro”che ho vissuto in questi giorni.

  2. Ziaele says:

    Ho appena finito di leggere l’articolo di Pap Khouma. E’ commovente leggere di un senegalese che ha fiducia nella giustizia italiana. Cinicamente potrei osservare: “ecco a cosa ci servono gli extracomunitari, dobbiamo importare qualcuno che parli bene delle nostre istituzioni perché noialtri non ce la facciamo più”. A parte gli scherzi, l’inerzia del nostro paese si manifesta a vari livelli, ma nel campo culturale diamo veramente il peggio di noi. Preferiamo farci venire le vertigini a furia di tenere gli occhi ermeticamente serrati, piuttosto che aprirli sulla realtà. E siamo sempre lì a giustificarci per il nostro ritardo, come se fossimo geneticamente inadatti al cambiamento. Mi conforta il fatto che sto entrando in contatto con un numero crescente di persone che non solo si dissociano dalla tendenza prevalente, ma continuano costantemente a raccontare e denunciare le assurdità quotidiane. E, ringraziando Iddio, molti sono italiani.

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