Le tragedie del mare e le nostre coscienze smart

Ci giunge notizia di un’altra “tragedia del mare“. L’ipocrita linguaggio dei media parla di 40 morti e centinaia di dispersi. Se son dispersi allora forse si salveranno. Prima o poi troveranno il sentiero giusto. Dispersi: è una parola carica di speranza. Lascia credere che il peggio non sia ancora avvenuto. Meglio dispersi che morti. E a noi, fruitori dei media, ci va bene così. Il nostro tasso di tollerabilità alle tragedie è quello che è: preferiamo parole meno crude quando le tragedie non ci toccano da vicino. Se son solo dispersi allora la vicenda è cosa dei soccorritori e di altri professionisti dei disastri. Possiamo ritenere adeguata la nostra tiepida commozione. Il nostro cordoglio, senza sensi di colpa, lo riserveremo per altre e più vicine tragedie.
In questi giorni a Senigallia c’è stata un’alluvione grandiosa. Qualcosa di biblico. Mezza città letteralmente sott’acqua. Una tragedia, e una strage sfiorata. Ci son stati 3 morti e nessun disperso. Danni materiali incalcolabili. Si trattava di rimboccarsi le maniche è salvare il salvabile. La reazione dei senigalliesi è stata eroica. Un’esercito di donne, uomini, giovani e giovanissimi si son armati di pale e stivaloni e si son messi a ripulire stanze, androni, cantine, scantinati e garage dall’acqua e dal fango. Hanno messo all’opera tutta la forza di cui sono capaci per ripristinare le cose com’erano prima dell’alluvione. Davanti alle case si sono ammassati tutti gli oggeti rovinati dall’acqua e dal fango. Le strade erano un groviglio indistinto di lavastoviglie, lavatrici, frigoriferi, divani, armadi, sedie e mobilia e suppellettili varie. Certo ci son stati i 3 morti. Ma la sensazione è che andata comunque bene. La tragedia poteva esser ben più grave e le vite perse molte di più. Per immane che è stata la sciagura la situazione era rimediabile. Il danno materiale per quanto ingente è sempre in qualche maniera rimediabile. Le vite umane, quelle no: quelle son perse per sempre. Aumenta solo il cordoglio e la disperazione della comunità in cui sono avvenute.
Nelle targedie del mare non c’è niente da salvare. Nulla di materiale. Il mare si mostra reticente persino a restituire i corpi. E poi i morti sembrano non appartenere a nessuna comunità. Le loro comunità d’origine sono già lacerate da guerre e fame. Mettono in conto di perdere la vita poichè fuggono da morte certa. I giornali parlano in questi casi di tragedie. Ma le tragedie presuppongono l’imponderabile: qualcosa di straordinario che accade. Le morti dei migranti in mare non ha nulla d’imponderabile. Finchè ci sarà gente che si avventura per mare con le “carrette” bisognerà mettere nel conto altri annegati. Altri titoli parlano di “stragi” di migranti. Una strage ci richiama alla mente morti causati per mano di qualche essere sanguinario. Se diciamo strage allora ci deve essere anche un colpevole. E forse tuttosommato la parola strage in questi casi è quella più appropriata. Anche se poi ammesso questo dobbiamo avere il coraggio di ammettere che siamo noi tutti i sanguinari, i colpevoli. Colpevoli della nostra inerzia. Colpevoli di eleggere quelli che ci promettono misure sempre pià restrittive contro “l’immigrazione clandestna”. Colpevoli di sfruttare i superstiti nella raccolta di pomodori e altri lavori pagati una miseria. Colpevoli di affamare chi poi è costretto ad emigrare per cercare sussistenza in altri paesi. Meglio allora parlare di dispersi è passare ad altro. Meglio parlare di tragedie. In fin dei conti sono morti che non ci appartengono. L’unica cosa che ci lega a loro è che appartengono alla razza umana. Ma evidentemente questo oggi non è più sufficiente per mobilitare le nostre coscienze. Il perimetro entro cui agire la nostra solidarietà si restringe sempre di più. La nostra sensibilità ha un raggio sempre più limitato. Più il mondo si fa piccolo e più la nostra umanità si adegua. Le uniche stragi o tragedie che ci riguardano sono quelle che avvengono nelle nostre case o poco più in là. Siamo fatti così noi esseri glocal: siamo dotati di coscienze smart e la nostra empatia è a breve gittata; animali più domestici che sociali.

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