Signori si chiude

Me ne sono sempre tenuto un po’ alla larga per via di una sorta di timore reverenziale. Parlo delle biblioteche, tempio dei libri. Anche i libri fra l’altro m’incutono timore. Non so se timore è la parola giusta, diciamo rispetto. Forse tutto ciò ha a che fare, derivi, da quegli illustri precedenti che sono i libri sacri (Bibbia, Corano, Torah… ). Non possiamo non dirci, volenti o nolenti, figli delle culture che questi libri hanno poi forgiato nei secoli.
Insomma, ho sempre percepito una qualche sorta di sacralità nelle biblioteche.
Ma oggi è una di quelle poche volte in cui decido di vncere i miei tentennamenti e mi avventura in una biblioteca. Oggi infatti avrei bisogno di uno spazio, di una architettura, di una matericità che siano diversi da quel che offrono i supermercati, i bar… e quei pochi altri posti dove uno in città possa, pur senza isolarsi, starsene un po’ per i fatti suoi.

Fossi più religioso, oggi sarebbe perfetta una capatina in Moschea. Ma non è solo questione di fede. Non ci vado in Moschea perchè quella che ho a disposizione è brutta. Come altre Moschee in giro per l’Italia anche questa di Senigallia è solo una specie di magazzino. Ci si va quasi clandestinamente. Tranne in occasione di festività particolari, non vedi nessun assembramento alla porta. Chi ci va fa di tutto per non dare nell’occhio. I mussulmani ultimamente (cioè almeno da una ventina d’anni) godono di pessima stampa. Meglio allora non dare scuse per titoli allarmanti che poi la gente si spaventa ancor di più. Quindi niente Moschea. Ecco, se solo ci fosse questa cittadina marchigiana dove abito, l’hammam sarebbe perfetto per questa mia voglia odierna di spiritualità laica. Sarei persino pronto a ripiegare su una Chiesa, ma la eslcudo non per questioni di fede: semplicemente, diciamo così, per questioni architettoniche e di arredo. Tutto quel marmo e nemmeno un tappeto. I giganti quadri alle pareti spesso con scene anche abbastanza cruenti. No, non è al momento questo il tipo di luogo di cui ho bisogno.

Quindi eccomi qui in questa bella biblioteca di Senigallia. Fatta di molto legno e di molto vetro. Il legno va bene. Sul vetro avrei qualche riserva, ma la taccio e mi godo la tanta luce che fa filtrare. All’ingresso il solito gruppetto di giovani che fumano e chiacchierano. Dentro la biblioteca regna invece il consueto silenzio.
Come tutte le biblioteche d’oggi giorno, oltre ai libri, anche questa offre giornali, riviste e una sala con vari computer con internet a disposizione. Così in biblioteca ci trovi diverse categorie di gente: i pensionati che vengono a leggersi i giornali (dalla prima alla’ultima riga), il clochard che prende una rivista tanto per darsi un contegno ma che sta qui soprattutto per riparasi dal freddo, alcune signore immigrate che dopo aver portato i figli a scuola vengono a trafficare con internet, altri immigrati che invece ci fanno un salto perchè la macchinetta del caffè qui lo fa buono e a buon mercato. E poi certo ci sarà anche chi è qui per prendere in prestito libri o per studiare o perchè sta facendo particolare ricerche in archivio. Ma questi ultimi hanno la prerogativa di essere qualsi invisibili. Io, come ho già detto, son qui per una sorta di ritiro spirituale. E come ogni ritiro spirituale che si rispetti, anche questo tempio laico che è la biblioteca ha i suoi officianti. E quello che mi vine incontro non mi piace per niente. Ha bella in vista sul maglione la sua tessera che lo qualifica subito come uno del posto e quindi con poteri superiori al semplice frequentatore occasionale. é uno di quei signori anziani che hanno tutte le biblioteche e che non si sa bene cosa facciano oltre ad aprire le porte e chiuderle all’orario stabilito. Oltre a guardar male gli astanti l’unica altra cosa che gli ho visto fare è cominciare ad aggirasi una mezz’oretta prima della chiusura avvertendo “signori si sta per chiudere”. Sarà anche per questi motivi che ogni volta che mi trovo in biblioteca ho come la senzazione di godere di un raro privilegio, di una concessione di cui tutto sommato non sono degno. O almeno è questo che mi comunica, ogni volta che lo incrocio, lo sguardo dell’officiante con il distintivo bene in vista.

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