Perchè un blog?

Io i blog proprio non li capisco. Mi dicono che sono una specie di diari online.
Non so, vediamo di ragionare.
I diari sono comunemente conosciuti come un’attività prevalentemente praticata da adolescenti, tenuta gelosamente segreta per annotarvi a mo’ di sfogo le esperienze che, in particolar modo in questo periodo della vita, acquistano una valenza tale da renderli , appunto, degni di nota. E già qui si entra in contraddizione.
La contraddizione è fra “segreto” e “degni di nota”. Salvo che per “degni di nota” ci si rivoga soprattutto a noi stessi. Nel senso che uno mette nero su bianco delle riflessioni per vedere quanto queste si rivelino, alla prova del tempo, più o meno confermate. Comunque la si rigiri associare blog a diario non mi convince.
Certo l’abitudine di tenere un diario non è solo roba da ragazzine.
Ma di solito in questi casi, oltre ad avere l’intima convinzione di avere qualcosa da dire si è anche abbastanza pudici da lasciarlo giudicare ai posteri.
Sicuramente ci saranno mille altre ragioni perché una persona ordinaria decida di mettere su un blog ma secondo me sono due, soprattutto, le motivazioni: esibizionismo e emulazione; se la Hilton ha un suo blog perché io no; oppure, se Luca Conti e Michele Pinto hanno dei blog (seguitissimi fra l’altro)perché io dovrei essere di meno.
La risposta che dovrebbe far soprassedere, in questo caso, è che i tre personaggi citati (oltre ad essere non “ordinari”) lo fanno anche perché rientra in qualche modo con la loro attività lavorativa.
Non mi convince neanche che mi si dica perché è un modo per socializzare sfruttando le nuove tecnologie. Per questo mi sembrano più adatte le chat, i newsgroup e simili. Perché chi mette su un blog forse ha l’urgenza, prima ancora di quella di comunicare, di farlo da protagonista e in questo caso mi sembra più appropriato chiamare questa tendenza, voglia di predicare.
Chi parla da un blog si colloca rispetto ai suoi “utenti” in modo analogo a come lo fa un sacerdote dall’altare, un politico dal soppalco, un Imam dal Mihrab o, meglio ancora, un Mueddin dal Minareto ( Il blogger lancia a intervalli più o meno distanziati dei richiami e aspetta fiducioso che i suoi fedeli accorrano in massa a leggerlo, lasciando come obolo qualche commento).
Sarà che è da poco che comincio a interessarmi di queste cose, sarà un fatto generazionale, ma ancora non riesco a capire i blog.
Ci sarebbe un’altra spiegazione ( più che altro un intuizione) per il diffondersi dei blog ed avrebbe a che fare con McLuhan e il suo “La galassia Gutenberg”, però non ci penso neanche di provarci e poi perché mi sembra troppo per il primo post.

Da queste riflessioni ( che sicuramente non reggeranno alla prova del tempo) l’unica cosa che ne esce confermata, è una frase ricorrente di mio padre che quando capitava ci affidasse, a noi fratelli, qualche faccenda da sbrigare, noi come risposta ce la affidavamo a vicenda, e allora sbuffava: in questa casa ho solo generali e neanche un soldato semplice.

Perché allora Stracomunitari?
Intanto perché nessuno è perfetto.
2) per capire che cos’è un blog
3)come esercizio di italiano
4)per imparare a stare nel web
5)cercare di usare il blog come strumento per l’integrazione e l’intercultura.
Last but not least perché, materialmente, ha fatto tutto Michele Pinto.

This entry was posted in blog. Bookmark the permalink.

5 Responses to Perchè un blog?

  1. Ciao Malih,
    innanzi tutto grazie per avermi paragonato, come blogger a Luca Conti, ne sono onorato, ma lui è un maestro, io il suo discepolo.

    Però non è detto che un blog debba essere per forza un diario.
    Blog è solo la possibilità di scrivere facilmente online i propri pensieri.
    Io lo uso soprattutto per mantenere contatti con amici che vedo raramente. Loro leggono quello che faccio e commentano, io leggo e commento loro.
    Poi ovviamente ci sono i momenti in cui ho voglia di scrivere qualche cosa di generico e lo faccio. Ci sarà pure un po’ di “voglia di predicare” ma nessuno è obbligato a leggermi.

    Ma ci sono altri modi di usare un blog. Ad esempio si può parlare solo di un argomento. Presto il blog diventa un punto di riferimento per tutti quelli che hanno piacere di informarsi su quell’argomento. Con un valore aggiunto in più: il tocco personale che ne può dare l’autore.
    Penso che questo possa essere il tuo caso.

    Buon divertimento con questa nuova avventura!

  2. Redazione says:

    ciao e benevenuto tra i blog!

  3. LAURA TUSSI says:

    L’ISLAM ITALIANO
    Notizie su una realtà molteplice e multiforme.
    La rappresentanza dell’Islam in Italia

    di LAURA TUSSI

    L’Italia è un grande mondo al plurale. Dalle statistiche risulta anche la presenza dell’Islam Albanese quale identità religiosa annacquata e differente, per esempio, dalla realtà Egiziana, Algerina e Senegalese. Quando si tratta di Islam sovviene sempre alla mente il mondo Arabo, soprattutto dopo l’11 Settembre, in quanto come religione monoteista è inoltre la seconda in Italia. Nella quantità di immigrati a livello europeo, l’Islam rappresenta una cospicua percentuale di persone. In Italia si attesta un notevole ritardo nei confronti delle politiche migratorie, per la presenza esigua e molto differenziata di stranieri rispetto ad altri Paesi europei. Il modello di politica migratoria in Francia è di matrice assimilazionista, ossia lo straniero deve diventare uguale, omologarsi all’elemento autoctono e tralasciare la propria memoria, il proprio passato identitario, quando molti autori hanno trattato dell’importanza del ricordo, dello scambio di memoria, nell’ambito del confronto tra le diversità (Ricoeur).
    Il modello francese si differenzia da quello inglese che, al contrario, attribuisce un maggior potere alle comunità di immigrati, non favorendo in senso pieno l’integrazione, ma facilitando la formazione di realtà ghettizzate e rinchiuse in se stesse. In Italia una particolare novità è rappresentata dai matrimoni misti, ben 6000 coppie in Lombardia e dall’ingente presenza scolastica di stranieri nelle grandi città, con oltre il 40% degli studenti stranieri in una presenza plurale, variegata e articolata. Durante gli anni ’70 la prima Associazione di musulmani che gravitava intorno all’Università di Perugia fonda l’USMI, un’istituzione all’interno della quale gli stranieri cominciano a trovarsi e confrontarsi nell’ambito di un Paese Occidentale come l’Italia e si organizzano in progetti di tutela, di riconoscimento di diritti avanzati, in seguito, dalle istituzioni nazionali. Al seguito della spinta dell’USMI nascono diverse associazioni di immigrati: l’AMI (L’Associazione Musulmani) e il COREIS una realtà di convertiti all’Islam. La Moschea di Roma negli anni ’90 diventa un punto di riferimento per gli islamici e l’ambasciatore Scialoja rappresenta il mondo musulmano in Italia a livello ufficiale per tutte queste realtà islamiche presenti sul territorio nazionale, che transitano in dinamiche e processi di continua tensione rivolti ad accordi d’intesa con lo Stato Italiano, anche se ancora non si è giunti a comprensione e armonia, in procedure di accomodamento. L’opinionista Ferrari sostiene che senza l’11 Settembre 2001 il processo di intesa sarebbe conseguito da sé, spontaneamente.
    Il centro islamico di viale Jenner a Milano non registra la presenza di convertiti e non ha rapporti con altre realtà, come la Casa della Cultura di via Padova, in cui, invece, sussiste una realtà a sé stante, senza contatti con le realtà milanesi di volontariato associazionistico islamico. In tutti questi centri il collante più che quello religioso (solo il 10%) è quello dell’opposizione politica, come in Algeria, i cui oppositori politici dovrebbero essere rifugiati all’estero, invece sono in Italia. Un’altra realtà è quella di via Quaranta che non nasce come Moschea, ma quale presenza di genitori che vogliono permettere ai propri figli di studiare secondo la tradizione musulmana, per poi tornare al paese d’origine; l’associazione è anche fornita di una sala di preghiera per il culto.
    Per esempio, considerando il caso dell’Istituto di via Agnesi, questo era inizialmente legato al centro di viale Jenner che presenta una realtà molto chiusa e non annovera al suo interno la presenza di convertiti.
    Il COREIS, un’associazione con un’ingente presenza di convertiti, di cui Pallavicini, che tratta anche con il Ministro Pisanu, è il presidente, risulta effettivamente ben poco rappresentativa dell’Islam immigrato. Le dinamiche di esclusione e partecipazione sono soggette ad una continua dicotomia su cui si gioca il rapporto con le comunità islamiche. L’intesa, il dialogo, il confronto pacifico, sono necessari per regolare una serie di discordie, divergenze, discrasie implicite nel dialogo con il volto dell’altro (Lévinas).
    Infatti in Italia si sono presentati vari problemi e particolari esigenze, anche molto contraddittori, per esempio, la questione della Moschea di Gallarate e il caso di Reggio Emilia, per cui sono stati prestati locali adibiti alla preghiera islamica ed è stato inserito il Venerdì islamico in una scuola.
    In Inghilterra vige l’idea per cui ogni comunità si deve autogestire, comportando una certa chiusura che invece è totale su un modello come il Libano. Vi sono state da parte delle comunità musulmane in Italia delle proposte di intesa con lo Stato Italiano. Lo scorso settembre 2004 sul Corriere della Sera è stato pubblicato un manifesto edito dai musulmani moderati in Italia, nel tentativo di esercitare un controllo sulle comunità islamiche tra i cui firmatari compariva l’associazione dei giovani musulmani, ossia un’emanazione dell’UCOI, che invece non ha firmato l’appello dei moderati: si assiste a nuove forme di emancipazione. Come anche l’associazione delle donne islamiche ha creato un gruppo e si sono costituite in uno statuto associazionistico per affrontare la questione di un’identità e con insite diversità (di genere ed etnia) nel confronto con i cittadini Italiani, in un continuo e assiduo dialogo con il diverso nel volto dell’altro. Dunque l’identità dell’Islam europeo risulta poliedrica, in quanto presenta innumerevoli modalità di relazione, multietniche sfaccettature di espressione, di convivenza. Il caso Agnesi ha rappresentato il tentativo di integrare delle ragazze musulmane in una scuola superiore di Milano e ha dimostrato che è importante difendere l’idea e il valore di scuola pubblica per tutti, anche con gradualità, senza settarismi. Il caso Agnesi, come sperimentazione interessante, esprime l’importanza del senso della Scuola come frontiera di dialogo, di confronto pacifico, di interscambio fra culture.

    LAURA TUSSI

  4. Pingback: Michele Pinto » Malih e gli Stracomunitari

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *