Agosto, è tempo di partire

Agosto mese di partenze e arrivi. È tutto un fuggi fuggi. Per lo più si scappa dal caldo, e si insegue il fresco. Le mete sono le più disparate, si va da quelle a raggio domestico, come il giardinetto dietro casa, i supermercati, o solo l’angolo di casa più propizio a godere del fresco artificiale del condizionatore a palla; a quelle più esotiche.

Ma noi, specie umana, pur dotati dell’istinto di migrare come certi uccelli, tuttavia non abbiamo rotte prestabilite. Noi si parte alla cieca. Non importa dove, l’importante è partire. Ad agosto l’imperativo è partire. Si diventa tutti migranti.

E anche i migranti, quelli più propriamente detti, ridiventano, se possibile, ancor più migranti. Un esodo a ritroso fra terra, mare e cielo. Si parte attratti, in questo caso, più che dal fresco dal richiamo delle radici. Come Ulisse. Solo che non c’è più bisogno di nessuna Odissea per raggiungere Itaca. Basta lasciarsi incantare dalle sirene del low cost, dai loro seducenti slogan e lasciarsi trasportare dalle loro tariffe irresistibili. Radici. Che peraltro affondano sempre meno nel suolo della terra nativa. Nella società liquida tanto cara a Bauman diventano, come dice lo scrittore algerino Tahar Lamri “radici di Mangrovie, in superficie, sempre sulla linea di confine, che separa l’acqua dolce della memoria, da quella salata del vivere quotidiano”. Radici che non conoscono più né confini né nazionalismi: si estendono la dove trovano nutrimento. Così ad agosto molti migranti diventano zingari cosmopoliti, in giro per le metropoli dove vivono altri parenti.

Fra i tanti viaggi che si intraprendono ad agosto ci sono anche quelli cosiddetti della speranza. Le carrette del mare con i loro carichi di disperazione. Qui si fugge da carestie e guerre. Verso approdi ritenuti più sicuri, più a misura d’uomo. Dove i diritti, si ritiene, sono di casa e la sacralità della persona umana è principo non negoziabile.Si ritiene. E qui fra i tanti che partono troppi non arrivano. Spesso il viaggio finisce in alto mare, nelle profondità del meditarreneo.

L’uomo dunque è un animale viaggiatore, con l’istinto innato a migrare. E non ha, si è visto, rotte o mete prestabilite. Sempre che non vogliate includere in questo discorso anche Riccione e i suoi affecionados.
(scritto per Vivere Italia)

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