Alla stazione

Siccome una volta mi dissero che sono un buon osservatore, l’altro giorno ho voluto mettere alla prova questa mia supposta qualità.
Dunque. È sera e sono alla stazione. Aspetto il treno che mi deve riportare a casa. Mi guardo attorno e osservo gli altri viaggiatori anch’essi in attesa. Mi colpisce il colore del vestito di due signori eleganti, fermi ciascuno per conto suo a una certa distanza l’uno dall’altro. Ma eleganti, intendo, più nelle intenzioni che nel risultato. Hanno un completo giallo senape. Poi capannelli di giovani che s’intrattengono con chiacchiere poco convinte. Una coppia matura ma con fare giovanilistico. Lui con pantaloni mimetici, i capelli alle spalle più bianchi che neri e una maglietta nera vissuta. Lei,vestita di scuro, giovanile anche lei ma tutto sommato anonima. Forse artisti, mi dico. Noto anche diverse signore di mezz’età, sole. Una in particolare mi rimane impressa perché si aggira fra i viaggiatori con fare e mise da capoufficio. Poi un uomo giovane, anche lui con giacca color senape e i pantaloni tenuti su con le bretelle. Potrebbe essere un conferenziere, per via della borsa porta computer e il fare disinvolto di uno abituato a stare al centro dell’ attenzione. In disparte, nella banchina di fronte, una ragazza seduta di spalle e, di fronte, nell’altra banchina ancora, un uomo seduto solo. Vicino a me un signore che legge, una coppia matura e un giovane che insegna loro come usare un telefonino. Loro si divertono e lui traffica con due telefonini ed ha un braccio ingessato…
Stringi stringi, come osservatore, nulla di ché. Vabbè, le giacche color senape dal sapore vagamente coloniale. Ma un buon osservatore, a mio avviso, rifletterebbe piuttosto su quest’attesa. Questi momenti che sembrano pieni di possibilità. Dove le consuete identità, le maschere della quotidianità, sembrano inadatte alla situazione. Dove gli altri sono davvero degli estranei. E dove questo surplus di estraneità è dovuto al fatto che pure noi, in quel momento, siamo estranei.
Un buon osservatore farebbe caso anche alla presenza nelle stazioni degli stranieri, spesso elette da quest’ultimi ad abituale punto di ritrovo, forse per almeno un po’ smettere i panni di stranieri ed essere semplicemente estranei fra altri estranei.
Poi certo, all’arrivo, fuori dalle stazioni, ad accoglierci, attesi con più o meno entusiasmo, ci sarà per ciascuno un volto noto: se stesso. Ma qui siamo già all’introspezione. E anche qui, se fossi davvero un buon osservatore mi ci metterei di lena ad osservare questo me stesso che, pur avendoci a che fare da parecchio, mi basta il tempo di un viaggetto, di un paio di cambi di treno, per ritrovarmelo estraneo. Anche se dura poco: giusto i primi passi, poi ci avviamo verso casa come un’ unica persona.

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