Quando l’eroe è un nickname il coraggio è un optional.
Accanto alla Z di zorro, che sugellava l’ennesima intrepida azione in favore dei più deboli, debellando sorprusi e rimettendo a Cesare ciò che era suo, strappandolo al di turno crudele cafoncello nel frattempo autoproclamatosi Dio sulla terra, ora è tutto un fiorire di miriadi di nickname che, anche loro, combattono leggendarie battaglie versando fiumi d’inchiostro, logorando tastiere in un frenetico clicca che ti riclicca, sino all’ultimo colpo di mouse.
I nostri eroi, questo si sa, si dinguono in positivi e negativi.
C’è Superman, e Batman; ma anche Lupin, e DiaboliK.
Sono esempi di eroi Bush e Saddam, ma anche Zapatero e Gandhi. Nulla di nuovo insomma, il solito ritornello: di qua il bene e più in la il male.
Ad accomunare tutti, indistintamente, è la loro fascinosa inaferrabile, sfuggente identità. Resa tale, di volta in volta, o ricorrendo a improbabili agghindamenti, o all’ uso di improbabili travestitismi ( il cavaliere mascherato), o comunque a cervellotici stratagemmi per sfoderare al momento opportuno, al posto dell’identità di routine, una sovrannaturale e avveniristica identità di battaglia ( come non pensare alle Mew Mew).
I nickname, sugelli postmoderni, marchi di origine più che aleatoria e perciò quintessenza del mistero che ammanta e avvolge gli eroi del nostro tempo dell’ aura irrudicibile a ogni identità con velleità di assurgere al glorioso titolo di eroe.
Una identità per quanto posticcia o feticcia che dir si voglia, ma a tutti gli effetti atta a confondere le acque, quanto basta almeno perché il nickname e quanto di umano ci sia ancora dietro rimangano entità ben separate, da non mai intersecare se non a rischio, a volte, di seri guai giudiziari, ed altre, per scongiurare fastiose minaccie di querela.
Nulla di strano: la disoccupazione dilaga e i giovani ( che sono gli adulti di una volta) si arrangiano con lavoretti stagionali, part time, con contratti a scadenza o a progetto; e quando la precarietà è la norma, non c’è da stupirsi se anche gli eroi si adeguano e adottano i nickname: identità precarie destinate a durare giusto il tempo di un commento.
Il nickname d’altronde è l’arma migliore per combattere battaglie virtuali contro nemici altrettanto eterei.
Molti nickname ad esempio si spendono per fare trionfare il polically correct. Altri si immolano per arginare il relativismo etico.
I romanticoni, i nostalgici dei tempi andati e degli eroi di una volta possono ancora trovare soddisfazione tutt’alpiù in qualche raro esemplare di giornalista( meglio ancora se freelance) che so, un Fabrizio Gatti o un Marco Travaglio, dove è ancora possibile riconoscere le stigmati del mito dell’eroe. L’eroismo, in questo caso, non si somministra a dosi di roboanti inchieste svelanti segretissimi dossier. No. Il giornalismo cosiddetto d’inchiesta con i suoi cosiddetti reporter d’assalto sono da tempo estinti. Il nostro eroe col taccuino semplicemente scosta ciò che i veli dell’ipocrisia, della vigliaccheria o semplicemente dell’abitudune nascondono e mostra arcani che sono sotto gli occhi di tutti, sussurandoci in un orecchio che il re è nudo. E noi solo questo aspettiamo per celebrare la litania del rimanere estereffati, increduli, basiti per poi calare nella trance del rimanere allibiti a sua volta ultimo gradino per il meritato nirvana del rimanere shoccati.
Il nickname, da bravo eroe non si espone mai in prima persona e l’eroismo sta proprio in questo, sta proprio nel camaleontismo identitario: tratto non negoziabile di ogni buon cavalier errante.
Per fare un esempio a noi (noi di Senigallia) più vicino: cosa sono bubu7 e melgaco, ciascuno nel suo genere, se non eroi del nostro tempo.
Inoltre, a proposito di coraggio, probabilmente nessuno si sognerebbe di dire, vis à vis, al mio amico Moustafa “marocchino di merda, terroristita musulmano che non sei altro tornatene a casa tua”, ma basta che io digiti stracomunitari su google che frotte di nickname mi riempiano, impunemente, di irrepitibili ingiurie.
Di questo ed altro sono capaci gli eroi dei nostri tempi.
Io sono un paladino della libertà di esprimersi, anche anonimamente.
Però questo non mi esime dal porgerti tutta la mia solidarietà per gli insulti anonimi che hai ricevuto (ma non ho capito dove).
Non fare però l’errore di confondere il mezzo (l’anonimato) con l’uso sbagliato che ne viene fatto (l’insulto).
Mi sono espresso male. Gli insulti non sono rivolti a me direttamente. Però è facile imbattersi, digitando stracomunitari su Google, in toni tipo quelli di cui ho detto nel post. Anche le stesse pagine di Vivere Senigallia, serbano memoria di commenti di tale sorta.
Inoltre non credo d’aver confuso “il mezzo” con l’uso che se ne fa. Semplicemente ho preso atto di alcuni aspetti della libertà d’espressione.
Non ho nulla contro l’anonimato, e nulla contro i nickname: a volte anch’io lo sono.
Poi, carissino Michele, so bene che sei un paladino della libertà d’espressione. E sono io il primo a beneficiarne.
Tant’è vero che non ho nessuna difficoltà a definirti anche te come UN EROE DEL NOSTRO TEMPO ( non è ironia).
Ma vaff…!