L’integrazione in scala Richter

Nei tg e e in genere nelle news di questi giorni sul terremoto la presenza degli immigrati è una costante.
Con una punta di cinismo si direbbe che con le scosse gli immigrati ci guadagnano in visibilità. Quasi che prima del teremoto fossero trasparenti.
Abbiamo visto così cronisti aggirarsi nei campi degli sfollati intervistando uomini col turbante, bambini che fanno da interpreti ai gentori, abbiamo sentito l’italiano piegato alle varie inflessioni dei paesi d’origine della diaspora.
Difficile farsi un’idea sul grado d’integrazione fra oriundi e stranieri nei campi predisposti dalla protezione civile per i terremotati. Per alcuni cronisti sembra prevalga la paura del diverso sulla paura del terremoto. Per altri la paura del sisma rende tutti un po’ più umani, facendo risvegliare sentimenti di fratellanza e solidarietà rispetto a paure giustificate o irrazionali che siano, e spesso artatamente costruite o acuite dai media.
In ogni caso si ha l’impressione che la scala Richter, oltre a misurare l’intensità delle scosse, sia anche un buon barometro per misurare il grado di civiltà di una comunità. Non vorremmo fosse così ma sembra che le due cose siano direttamente proporzionali. Più i cataclismi sono crudeli e più ci strigiamo gli uni algli altri, senza badare più al colore della pelle o al paese di provenienza. Quando la natura ritorna ad esserci amica, e non abbiamo più bisogno della protezione civile, chissà perché si si ritorna ad essere più intolleranti e diffidenti. Non è certo il caso di augurarsi estreme calamità naturali per vedere trionfare il buon senso. Basterebbe riuscire un giorno a perceripre il razzismo come una catastrofe in sè, un’emergenza tale da far intervenire la protezione civile.
Fonte: Linkiesta

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