Quei lavoratori dello sport di ritorno da Londra con un discreto carico di metalli preziosi

I combattivi atleti italiani sono di ritorno da Londra con un consistente bottino di metalli preziosi. Sono medaglie che ascriverei in toto all’estro italico. Disciplina questa cui all’apice stanno campioni quali Michelangelo e Caravaggio. Disciplina che non conosce il gioco di squadra, figlia com’è di una società che ancora non sa farsi comunità. Tuttavia capace di produrre individualità eccelse. Né si tratta qui del consunto clichè genio e sregolatezza, di quel talento cioè che a volte divinità distratte riversano in mani e piedi indegni. Qui il talento, che pure c’è, è una questione di certosina applicazione, di lacrime e di sudore. Talenti rari che fioriscono nel buio dei retrobottega. Virtuosismi acquisiti con ferrea volontà e infiniti esercizi nel silenzio delle palestre di periferia. Gli attori principali sono altri e a loro spettano la gloria e le luci della ribalta. I valorosi atleti italiani ritornano da Lodra senza fanfare. Perché questo è il destino dei “minori”: anche quando le loro opere raggiungono la fama dei capolavori, la firma in calce rimane un optional. E così è per gli sport minori: si celebrano le vittorie ma i vincitori non sono mai portati in trionfo. Ritornano dunque, i nostri medagliati di Londra, come operai dopo un lungo lavoro fuori sede, accolti da pochi intimi e la loro gioia è simile a quella del lavoratore che si vede la busta paga più ricca per via dell’indennità di trasferta. Tanto sono anonimi che si fa fatica a chiamarli campioni. Lavoratori dello Sport mi pare più appropriato. Non li conosciamo, i giornali ci hanno sempre parlato di altri campioni e di altri sport. E per loro disgrazia non sembrano nemmeno rientrare nell’iconografia classica dell’atleta olimpico: il discobolo scultoreo e altre figure plastiche che da secoli popolano il nostro immaginario di una ben precisa idea di eroe sportivo. Tutto il contrario della pancetta di Michele Frangilli, medaglia d’oro nel tiro con l’arco. La gloria per eroi siffatti non può essere che effimera. Già da domani i cronisti che oggi faticano non poco nel dare, come circostanza richiede, un minimo di epicità a gesta atletiche a cui non sono avvezzi ( e quando mai un cronista si è speso sul tiro al piattello?) torneranno a ciarlare di calcio e di Ferrari, di Valentino e di Balotelli, e di altri plurimiliardari. I nostri lavoratori dello sport torneranno nelle loro botteghe ad affilare i ferri del mestiere e a praticare i loro sport di nicchia. Vengono chiamati così tutti gli sport dove i giocatori ancora non si vendono e si comprano come una merce qualsiasi. E che fanno una fatica cane a guadagnarsi un trafiletto sulla Gazzetta dello Sport.

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