Il non detto del saluto interetnico

Pur non avendo alle spalle riconosciuti titoli accademici nel campo delle scienze sociali né un curriculum che vanti spedizioni sul brigantino Beagle, intendo imbarcarmi in un discorso molto in voga in questi ultimi giorni. Il Graal dei salotti “bene”. Il tema della convivenza multietnica. Memore però delle tante cialtronerie che a tale proposito mi capita di sentire o leggere, e per ridurre a mia volta gli spropositi, già vomitati da ogni tubo, catodico o meno, che senz’altro potranno sfuggire anche a me, limiterò le mie osservazioni ad un aspetto ben circoscritto e inesplorato: il non detto mentre uno stracomunitario e un homo urbanus si salutano.
Per chi non lo sapesse l’homo urbanus è il risultato odierno del lavorio che l’evoluzione, nel corso dei millenni, selezionando e scartando a più non posso in modo del tutto genuino e naturale, è andata man mano forgiando per impercettibili e graduali modifiche, fino a farci trovare in cima a quel delicato ecosistema che sono le nostre metropoli tipi come Borghezio o Gentilini.
Il posto ideale per osservare questo fenomeno sono i quartieri cosiddetti multietnici con le loro vie emblema: Via Anelli a Padova, quartiere S, Lazzaro a Torino, Via Carducci a Senigallia ecc. Attenzione però: la parola “metropoli” in questo caso può essere fuorviante. State certi che in qualunque paesino, anche fra i più sperduti, oltre al Duomo, alla Piazza (con l’immancabile cane randagio), al Palazzo del Municipio, insieme all’unico barbiere e alla sala proiezione dell’oratorio, chiunque vi potrà indicare anche il quartiere multietnico.
Che cosa dovrebbe dunque frullare nella testa di un homo urbanus e di uno stracomunitario, secondo le regole del bon ton suggerite dai fautori della multiculturalità, quando incontrandosi dovessero salutarsi? Debbono scambiarsi, oltre ai consueti salamelecchi, anche un surplus di smancerie con una duplice funzione. Per l’oriundo sono la prova palesata della sua apertura mentale, un certificato di assoluta impermeabilità, garanzia inespugnabile contro infiltrazioni inopportune di sentimenti anche vagamente xenofobi, che lo abilita quindi ad accogliere ed “integrare” chiunque abbia messo in atto il biribizzo di fare dell’Italia la sua patria elettiva. Per lo stracomunitario invece è la prova ostentata di essere, in ordine sparso: un buon immigrato, che ce la mette tutta per essere integrato; che pensa solo a lavorare; che è un musulmano, però moderato; che non è un molestatore; che non gli passa neanche per l’anticamera del cervello di farsi saltare in aria per una delle tante cause panislamiche; che manco ci pensa di farsi quattro mogli, ché una anzi è già troppo e che, per dirla tutta, forse è pure cornuto; che la pasta, manco a dirlo, la mangia solo se è “al dente” e che, ma questo gli duole moltissimo, purtroppo ancora non ce la fa a mandare a memoria per intero l’inno di Mameli. Questo unicamente, a sua parziale discolpa, in quanto il relativo cd è di difficile reperibilità nel mercato parallelo della discografia senegalese. E le poche occasioni che ha di fare pratica sono le partite della nazionale in euro o mondovisione (sotto questo aspetto l’impegno dei calciatori a favore dell’integrazione è davvero deludente). Tuttavia cerca di compensare questa carenza cantando a squarciagola sotto la doccia “O’ sole mio”. I più sofisticati, arrivano persino a “non dire” che tengono sul comodino Io amo l’Italia di Magdi Allam (il Moccia degli stracomunitari integrati) e o che ogni notte per conciliare il sonno ne leggono qualche riga . Davvero troppo per chi, come me, non ha nella giovialità il suo punto di forza ed è pure refrattario al fascino dei best seller. Donde, per quanto mi riguarda continuerò, correndo il rischio di essere scambiato per kamikaze, o quello non meno infamante di passare per zoticone, con i soliti svagati cenni di saluto, sempre che non abbia la luna storta. Se poi mentre attraverso una siffatta congiunzione astrale per disgrazia mi capita d’incrociare un homo urbanus che ha “saturno contro”, eccoci allora nel bel mezzo di uno scontro di culture.

This entry was posted in Senza categoria. Bookmark the permalink.

One Response to Il non detto del saluto interetnico

  1. luna says:

    magdi è un gran leccaculo (a mio parere).
    Comunque, un saluto, stracomunitario

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *