Di giorno in mezzo agli aranceti, fra i profumi delle zagare. La sera, finito il lavoro, tornano a dormire chi in tane improvvisate: giacigli di cartone e lamiere, case abbandonate e altri dirupi.
Il lavoro negli aranceti non è lavoro, ma è sfruttamento. Non è nemmeno schiavitù, perché i padroni ai loro schiavi ci tengono. Gli schiavi, per i padroni, sono degli strumenti di lavoro, e degli attrezzi ci si prende cura.
Sono invece degli oggetti usa e getta. Devono durare giusto il tempo della raccolta delle arance. Sono merce che abbonda e sono a buon mercato.
Ma questo lo sanno anche gli immigrati. Sanno che non durerà a lungo. Sono giovani e nel pieno delle forze. Bisogno tenere duro per un paio di mesi e poi è finita. Dopo si viaggia ancora, seguendo le stagioni e i loro frutti , in giro per le campagne d’Italia.
Non era certo l’Europa che si aspettavano. Quella maledetta idea d’Europa che continua a mietere vittime.
Per essa si continua a morire annegati, o attraversando il deserto, o sopravvivere a tutte le traversate, superati tutti i confini, giungere in Italia e morire a se stessi.
Ma i ragazzi neri di Rosarno sono vivi di speranza e gioventù. Hanno imparato a sopportare il cinismo dei loro carnefici opponendogli la rassegnazione dei migranti. Rassegnazione che non né resa né viltà. È lo spazio intimo dove si coltiva la speranza.
Qualcuno ha oltraggiato questo spazio dove si coltivano sogni, impallinando due ragazzi di colore per noia e bullismo. E ora i neri fanno la guerra nei campi e fra il profumo delle zagare, per non morire a stessi.
(pubblica anche su Vivere Italia)