Vittima e carnefice

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Vittima e carnefice. Questo, a volte, si prova a fare il giornalista essendo un immigrato. Intanto una precisazione: “fare il giornalista” mi sembra un’affermazione un po’ troppo pretenziosa. Ci si prova, ecco.
Ma perchè vittima e carnefice? La riposta sta nelle parole, e fra le righe, di questo bel pezzo di Franco Bomprezzi.
Nella sue duplice veste di portatore d’handicap e giornalista, spesso alcuni suoi colleghi normodotati lo contattano alla ricerca di “una bella storia“.
In che senso una bella storia?
Beh, insomma… ci vorrebbe uno giusto, cioè… chiuso in casa da anni, ma combattivo, che si muove però da solo quando è in esterni (sai, per le riprese è meglio…) e poi con una storia familiare un po’ pesante, ma lui deve parlare bene, altrimenti non ci stiamo con i tempi, il servizio durerà i classici due minuti, che è già tanto, tu mi capisci…”
Anche a me, nel mio piccolo, mi capita di essere interpellato, ad esempio, per scovare storie di qualche immigrato alle prese con il “problema casa”. Il soggetto ideale, mi si fa capire, deve essere prossimo alla sfratto, la casa deve essere una catapecchia umida, le macchie di umidità devono essere grandi e ben visibili, l’immigrato sfrattando deve essere un capo famiglia dalla prole numerosa, disoccupato cronico, la moglie deve aver dato da poco al mondo due gemelli ed essere in evidente stato di una nuova gravidanza. E soprattutto tutta la famiglia così conciata deve essere disponibilissima a farsi fotografare e raccontarsi ai microfoni con la tutta la necessaria dovizia di particolari. Altro? sì, deve parlare fluentemente la nostra lingua.

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