Delirio securitario

Sulla scrivania, accanto al computer, un bicchiere di tè alla menta. Indosso una gandoura. Ai miei piedi un tappeto marocchino. Un CD di Vinicio Capossela sprigiona nell’aria note di freschezza e lascivia e supplisce al verde lussureggiante di giardino con fontana che manca a completare questo quadretto idilliaco, liberamento tratto da sogni arcadici contaminati da atmosfere da mille e una notte, e ,ora che ci penso, influenzato anche da certi capolavori dove mi perdo in rapita contemplazione mentre attendo la mia dose settimanale di riso alla cantonese: ideali estetici ( o, se preferite, vaneggiamento estetizzante) di ogni stracomunitario per quanto integrato o déraciné possa essere, inciso nel più recondito ed inespugnabile anfratto, gelosamente custodito, del suo nucleo identitario.
Sono simili espedienti uniti talvolta ad ardite invenzioni dialettiche che mi servono per ritrovarmi e non soccombere all’idea che i vari mètres à penser, dai Calderoli prima ai Poverini ora, si sono fatti e si stanno facendo di me. Credo che quest’idea si possa condensare in una sola parola : stracomunitario. Se andiamo a scomporla, questa parola, vediamo che essa racchiude altri sgradevoli concetti: clandestino, badante, zingaro, pisciate sui muri, permesso di soggiorno, flussi, sanatoria, ronde, lavoro nero, scippi…Tutte parole che, al solo nominarle, creano disarmonia e non fanno presagire nulla di buono. Perciò è richiesto un paziente lavoro di scalpellino per sfrondarle dalle incrostazioni che vi depone l’ incessante cicaleccio nazional populista opportunamente alimentato orientato da tv e giornali ( e blog).
Perché a maneggiarle così come ci vengono propugnate, queste parole, intossicano. Prendiamo ad esempio una di esse, clandestino, diamole una ripulita e vediamo cosa ne viene fuori.
Il clandestino è uno che si trova dove non dovrebbe esserci. Essere clandestino è un reato perseguibile penalmente. Ma è anche l’unico crimine che non ti da una qualifica. Se rubo sono un ladro, se ammazzo sono un assassino. Clandestino invece è colui che semplicemente esiste. Per sfuggire alla pena bisogna “non esserci”, non esistere ( l’eterno dilemma: essere o non essere). Ma fuggire a stessi è arduo. È una condizione non alla portata di tutti. Bisogna avere una rocciosa idea di sé per fare il clandestino. Quello che da senso alla vita del clandestino è l’attesa della sanatoria. Un clandestino non si chiede se ci sarà o no la sanatoria, si chiede solo quando arriverà.
A farci caso , i più visibili fra gli stracomunitari sono proprio i clandestini (i più fragili). Fanno un baccano della malora, risse e quant’altro perché sperano di essere arrestati e avere così la prova della loro esistenza. Se anche questa prova non va a buon fine, finiscono per convincersi della loro invisibilità e sfruttano questo stato di grazia per darsi impunemente al crimine. Le forze dell’ordine, poverine, fanno il possibile ma, d’altronde, non si può neanche pretendere da una coppia di poliziotti di quartiere, zelante quanto si vuole, di sorprendere un fantasma in flagranza d’esistere. In questi casi è meglio rivolgersi a Scooby-Doo o assoldare i ghostbuster. Tuttavia fra la gente la paura del clandestino è qualcosa di concreto e tangibile. Alcuni sindaci nell’ansia di sedare questo diffuso sentimento di insicurezza nei loro cittadini finiscono essi stessi preda a delirio securitario che, se non precocemente diagnosticato, può manifestarsi con improvvisi quanto inspiegabili atti d’accanimento legalitario. Giunti a questo stadio tutto diventa possibile: dall’ emettere ordinanze per munire di telecamere a circuito chiuso, in aggiunta a quelle già dislocate strategicamente in vari punti della città, tutti gli androni di tutti i condomini, ai patti di sicurezza e legalità con la cittadinanza, al radere al suolo il primo accampamento di zingari a portata di ruspe…

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One Response to Delirio securitario

  1. “Sulla scrivania, accanto al computer, un bicchiere di tè alla menta. Indosso una gandoura. Ai miei piedi un tappeto marocchino. Un CD di Vinicio Capossela sprigiona nell’aria note di freschezza e lascivia e supplisce al verde lussureggiante di giardino con fontana che manca ”

    che immagine idilliaca 🙂
    E provare con una fontana zen? :-)))

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