Con la lettura devo avere uno strano rapporto. Nel senso che se mi penso nel tempo, mi vedo sempre a leggere. Mi basta incrociare delle lettere e parte in me il lettore automatico. Ma se cerco di ricordarmi i libri che ho letto non è che ne venga fuori chissà quale elenco. Soprattutto mi rendo conto che son pochissimi i “classici” che ho letto. Ne dico uno per tutti: Cent’anni di solitudine, ad esempio, mi manca. E questo mi porta a chiedermi: e allora che cacchio hai letto se stavi sempre a leggere? Sarà mica una questione di memoria? Credo che la cosa abbia a che fare con il non avere un interesse specifico. M’interesso di molte cose senza poi approfondire niente. Leggo quel che mi ritrovo fra le mani, a seconda dell’interesse del momento (e anche del luogo). Poi ho questa strana tendenza: mi piacciono i libri degli altri. Delle case degli altri. Anche senza leggerli ti fai un’idea del genere di idee e di vita che è circolata e circola in quella determinata casa. Di quanto è consolidata o meno la confidenza che quella persona (e famiglia) ha con i libri e il sapere. Posso dire di cominciare a capire qualcosa di una certa persona solo se ho avuto modo di frequentare la sua libreria. E mi pare singolare, fra i tanti convenevoli di buona creanza, che non ci sia la prassi di invitarsi a vicenda per farsi vedere le rispettive librerie. “Un giorno di questi la invito a prendere un tè così le faccio vedere la mia libreria”. E star lì a discutere del come e quando quel particolar libro è finto in quello scaffale. Trovare, chessò, una vecchia copia di Somerset Maughan, nella libreria di un conoscente di recente acquisizione a me basterebbe per sentirmela in qualche modo più vicina e famigliare e persino più affidabile. Non saprei dire perchè proprio Maughan mi debba fare questo effetto, ma sento che è così (sarà forse per via che è uno di quegli autori che andavano di moda qualche decennio fa e quindi facilmente lo ritrovi nelle librerie e che in effetti mi è capitato di scorgere in diverse case). Fra l’altro di questo autore ho letto poco o niente: un paio di capitoli di un suo libro che ha la parola rasoio nel titolo – mi rendo conto che è poco come resoconto di una lettura, ma quel che è più grave è che credo sia tutto quel saprei dire non solo per questa lettura nello secifico, ma di qualsiasi cosa io abbia letto sinora. Direi insomma che ho dei ricordi impressionistici delle mie letture. Molto fumosi.
Fra i tanti fuochi fatui che alterno, ultimamente mi sembra di aver scoperto una certa “passione” per i libri cha parlano di libri. Uno in articolare mi tiene compagnia da una quindicina danni. ed è 1) il Piacere di leggere (volevo averlo sotto mano per questo post ma non lo trovo, eppure quando non mi serve ce l’ho sempre fa i piedi) di Giorgio Montefoschi, tutto sottilineato e impolverato. All’epoca, quando lo comprai, mi ero ripromesso fermamente di leggere tutti i libri che consigliava. Ovviamente il nobile proposito è rimasto tale (salvo un paio di titoli).
2) Una certa idea di mondo di Alessandro Baricco.
Autore questo che leggo sempre con piacere, anche se poi ogni due righe mi ritrovo a sorridere per il suo modo piacione di scrivere. Quanto ai suoi cosigli di lettura non è li prenda per oro colato. Leggere Baricco è comunque una boccata d’aria fresca e mi serve per riavermi e ritrovare il piacere dei libri dopo quel genere di letture magari anche edificanti ma che spesso purtroppo sono anche assai collose.
3) Nautilus di Beniamino Placido.
Non è propriamente un libro sui libri ma non c’è scritto di questa raccolta che non parta o citi strada facendo altri libri. Leggerlo ogni tanto, a Beniamino Placido, serve a riconcilarmi con i “professoroni” e con quel certo modo tanto dotto quanto pedante di usare la parola. A parte il suo bello scrivere vien da dire che è un autore gentile. La sua gentilezza sta nella cautela con cui ti somministra il suo sapere. Trova sempre l’aneddoto giusto per addolcirti la pillola. Direi, se non fosse espressione consunta, che è un autore leggero. Ma non di quella leggerezza che sfocia nell’inconsistenza: soglia questa varcata solo dagli autori che in nome del mito della leggerezza, oltre a liberarsi da tutti gli orpelli decorativi, stilistici ecc che li tengono lontani dalla loro personale idea di bella scrittura, si liberano anche, come fosse superflua zavorra, anche dell’intelligenza. E quando questa manca il risultato che si ottiene non è la leggerezza ma il vuoto cosmico. Va detto che per intelligenza non intendo chissà quali complessi meccanismi cerebrali. L’intelligenza che ho in mente somiglia molto di più alla generosità: quella cioè di dare in pasto al lettore anche solo un po’ di farina ma che sia del tuo sacco. Generosità che è anche onestà: scrivere non tanto per scrivere (i mestieranti lo sanno fare benissimo) ma farlo quando si ha qualcosa da dire. Di proprio.
4) Piero Dorfles – I cento libri che rendono più ricca la nostra vita
è un libro che ancora non ho ma che ho avuto l’occasione di spiluccare. Quel poco che ho letto di questo libro mi è bastato per farmi quest’idea del modo in cui è scritto: trattasi di scrittura di servizio. Senza nessuna intenzione di sedurre. Priva anche di qualsiasi tentativo di arrampicamento sui concetti. Leggera? No, direi piuttosto modesta. Anche qui, si tratta di quella modestia che solo pochi possono permettersi: quelli che hanno letto molto, e bene. é un libro concepito per essere consultato. Niente estetismi, ma solo tanta ciccia.
Marco Belpoliti, L’età dell’estremismo
Questo è il genere di libro che ha una tesi. Un saggio. Vuole farsi un’idea del mondo partendo dai crolli e dalle macerie del secolo breve. Marco Belpoliti è figlio dello strutturalismo e si sente parecchio. Ma al di là della tesi che lo sorregge (e mi guardo bene dall’ addentrarmi) è pieno di titoli affascinanti. Affascinanti cioè per gente come me: quelli cioè che vorrei ma non posso. Vi si parla di gente come Susan Sontag e Hermann Broch. Di temi come il Kitsch, le arti figurative e di avanguardie. Tutti temi intessantissimi per gente come me, cioè facilmente impressionabile dalla cultura e, a sprazzi, decissimi a farsela propria, ma che inevitabilmente poi passa ad altro. Se siete anche voi gente così è un libro da tenere in casa. Vi serve a ricordarvi che in giro c’è gente molto più intelligente di voi. Gente, per dire, che si è laureata con Umberto Eco. Ora che ho nominto l’innominabile, sempre se siete anche voi gente come me, vi affiorano alla mente cose come Il gruppo 63, gli anni sessanta, la sinistra, la semiotica, la televisione in bianco e nero, Middle cult, Berlinguer, Mike Bongiorno, la cultura di massa, Iva Zanicchi… e altri simili pezzi di modernariato che nel mio immaginario di lettore dispersivo, confuso e sconclusionato fanno parte di un passato glorioso e irrepitibile. Ed infine, ripeto, se anche voi siete fatti come me e cioè subito il fascino di quest’epoca di grandi intellettuali alla Umberto Eco e Roland Barthes, e vi ramarricate di non essere così vecchi da averla potuta vivere quand’era al suo culmine, allora consoliamoci del fatto che siamo tuttavia abbastanza maturi, e quindi nel pieno delle nostre facoltà intellettive, da poter godere del privilegio storico di assistere da testimoni diretti (e savi) all’inclusione fra il novero di cotanti illustri personaggi, che hanno segnato così pesantemente quest’epoca, al loro ultimo esemplare: Silvio Berlusconi. Come per tutte le cose che finiscono dell’amaro ci rimane in bocca.Tuttavia la vita continua, e non c’è tramonto a cui non segua un’alba. Come ci conferma il nuovo astro nascente che di nome fa Dudù.