Blog, divano e scrittura migrante: intervista a Marocco Oggi

Ne avevamo già accennato in occasione del concorso letterario “Scrivere Altrove” vinto con la poesia “Profughi” (http://www.maroccoggi.it/2012/12/24/tre-autori-marocchini-premiati-al-concorso-letterario-scrivere-altrove/). Mohamed Malih è una di quelle personalità frizzanti difficili da presentare. Lui stesso si definisce in più modi: mediatore culturale a chiamata, migrante di lungo corso, articolista estemporaneo, saltuariamente poeta e giocatore di biliardo. E, sottolineiamo, blogger. Il suo “Stracomunitari” infatti si è fatto notare anche da “La Repubblica”, che sul “Venerdì” lo ha segnalato poche settimane fa. Leggendo i suoi post, si viene subito ammaliati dall’ironia prorompente e dall’acuta sottigliezza. Nel 2012 ha pubblicato l’e-book Il divano non è un luogo comune (Onyx editrice), nel 2011 si è classificato secondo al premio di poesia “Scrivere Altrove”, nel 2012 sempre per “Scrivere Altrove”, ha vinto il primo premio per la poesia. Nel 2013 è arrivato secondo al premio di poesia “Cesare Vedovelli”. Di tanto in tanto tira fuori dal cilindro una poesia, che colpisce e affonda. Insomma, Mohamed Malih è uno scrittore travestito da blogger.

Oggi abbiamo il piacere di fargli qualche domanda in merito al suo Il divano non è un luogo comune, che presenta un collage di suoi interventi pubblicati sul suo blog sotto le mentite spoglie di Kamal. Un testo che colpisce per schiettezza verbale, dove Malih nuota a suo agio armato di un’ironia e di un’abilità linguistica notevoli, che gli permettono di piegare le parole a suo piacimento, per meglio vestire le più sperticate metafore e gli appellativi più coraggiosi.

D: Il tuo linguaggio, in alcune pagine in particolare, è piuttosto colorito: è volutamente provocatorio o è naturale?

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Una pagina che si sporchi del caos del mondo

Bisogna battere più forte su questi maledetti tasti. Su questa tastiera per scrivere voglio scatenarmi, come fanno certi pianisti. In un crescendo di pathos, con i capelli arruffati e il sudore che cola. Piangere e ridere mentre le lettere formano parole e le parole frasi, e il tutto che acquista un senso strappato all’emozione.

Battere ritmicamente, strapparne melodie per emozionare ed emozionarsi. Fare spettacolo. Un turbinio di parole. Scintille. Far ballare le virgole. Un punto come un acuto da infrangere i vetri. Il punto esclamativo come un lungo assolo al sassofono.

E giù, strappando vita alla punteggiatura e tracciando paesaggi con le parole e sospiri dalle pause, e dove non te l’aspetti poesia. Non voglio concetti chiari. Non voglio frasi pulite e perfettine. Voglio che questa pagina si sporchi del caos del mondo, che si lordi di lacrime, che la pagina bianca echeggi di una fragorosa risata; che sia oscena come lo sguardo languido di un porco vecchio, sfrontata come una ribelle teenager, tenera come l’odore caldo delle brioche al bar la mattina, saggia come un anziano barbiere, trafelata come una docente insicura, che abbia lo sguardo e le parole asciutti dei contadini di una volta. Questa pagina la voglio nostalgica, come le notti stellate e all’addiaccio dei cani randagi. Che parli e consoli le madri con il figlio lontano, che suggerisca parole ai padri taciturni, che insinui qualche dubbio nelle menti ottuse, un sorriso nelle labbra troppe serie; una favola per far dormire e sognare bimbi introversi.

Una pagina come un quadro, come un verso, come una canzone, come un vaso, come un ballo della taranta, calda come un tè nel deserto, riposante come l’ombra del fico, brulla come i campi del sud, verdeggiante come il lungargine di un corso d’acqua del veneto. Silenziosa e profumata come una sacrestia. Chiaroscura come un Caravaggio. Luminosa come un Tiepolo. Dolente come una madonna del Lorenzetti. Cacofonica come musica etnica. Compassata come una geisha. Solitaria come un pastore. Annoiata e tranquilla come un cavallo solo in una grande recinto nel caldo d’agosto. Pazza come i pazzi. Saggia come un saggio. Allegra come una fanciulla in fiore. Intelligente come certi analfabeti e bambini in età prescolare.

Una pagina che non insegni niente ma che, alla bisogna, sappia tener compagnia. Le parole devono scorrere come acqua di ruscello mai bagnata da sguardi consapevoli. Eterna come certe statue e fontane. Che serbi traccia di tutte le battaglie del mondo, di tutte le ingiustizie, dei vinti e dei trionfatori. Delle età che si succedono, delle mille e una notte, del Giangis Khan, del cavallo di troia, dei greci, degli ebrei e degli zingari. Che abbia l’eco degli arrotini, dei ghetti, dei mercanti di seta e di spezie, dei venditori di minutaglia dei mercatini rionali, dell’odore di pelle e di colla dei negozi di scarpe. Che parli di futuro come gli auspici, misteriosa come il volo alto dei rapaci. Che abbia il suono della pioggia di Tangeri sopra i tetti. Senza identità come gli scrittori di Trieste. Che mi sveli la storia di quel giapponese morto suicida quella notte che mi trovavo a Trieste in pensione ed ero spaesato come tutti a Trieste, e leggevo Borges in un racconto, dove si parlava di duellanti armati di coltelli e di altre stranezze borgesiane.

Io leggevo Borges quella notte a Trieste, e in qualche altra camera della stessa pensione un giapponese ( o forse era cinese) intanto si suicidava. Vorrei saperne di più. Ho ricordi confusi: il giornale del giorno dopo non diceva granché o forse sono io che non ricordo. Ricordo solo il vento di Trieste. Ricordo che avevo notato i capelli ordinati delle signore di Trieste. Ordinati nonostante il vento o forse acconciati in modo tale che proprio il famoso vento non scompigliasse. Ricordo di aver visto il famoso caffè degli specchi.

Quella notte sul comodino avevo anche un libro che parlava del problema linguistico della gente di Trieste, di cosmopolitismo e di Mitteleuropa.

Ecco, vorrei una pagina anche con ideogrammi giapponesi, con lettere arabe, in braille e con il linguaggio dei sordomuti, una pagina di un audio-libro dove la voce del lettore è quella del vento, illustrata da Hokusai che mi sveli, ma non troppo, del segreto del giapponese o forse cinese morto suicida quella notte a Trieste.

( Da immezcla)

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Il pigiama. Ovvero, dell’odore di mia nonna

Mia nonna ogni tanto partiva dalla campagna e ci veniva a trovare a Casablanca. Aveva un buon odore mia nonna. Io non sono di quei nasi che basta che entrino in una cucina e sanno subito dirti cos’è che bolle in pentola. L’unico odore che saprei indovinare a colpo sicuro è quello del cavolo.

Qualche volta ho tentato di fare il raffinato ma mi è andata malissimo, ho finito per scambiare cannella con i chiodi garofano, la curcuma con la noce moscata… Per quanto riguarda mia nonna direi perciò, senza entrare troppo nei dettagli, che il suo odore è fatto dall’insieme delle spezie citate più l’odore della terra. Aggiungerei anche un pizzico di prezzemolo e un filo d’olio di argan e anche un po’ dell’aroma delle uova di gallina ancora calde, di quelle che hanno ancora attaccate un po’ di fieno e un po’ di escrementi di gallina.
Sono sicuro che se mia nonna sentisse la descrizione che sto facendo del suo odore, come minimo mi guarderebbe male. Ci sarebbe un’espressione più semplice: aveva un buon odore; un buon odore agreste. Solo che magari qualcuno che sta leggendo va a finire che poi pensa alle stalle, o ai campi di grano o, che so io, alle balle di fieno. E non è propriamente questa l’idea che voglio dare dell’odore di mia nonna. Ovvero, è anche questa ma mescolata all’odore della notte e del sonno e anche dell’africa.
Oserei aggiungere anche l’odore delle favole. Ma forse sarà meglio che lasci perdere questa cosa dell’odore, sennò va a finire che non lo so più neanche io che odore aveva mia nonna. Però mi piacerebbe che ci fosse una figura professionale tipo il sommelier delle nonne. Uno gli porta la nonna, lui da un’annusatina, magari la agita anche un pochino, e poi ti da una di quelle belle descrizioni che fanno i sommelier quando trattano i vini. Che vengono fuori con dei retrogusti di certi fiori e ortaggi e legni e frutta che uno non ha mai sentito, però alla fine ti fai ugualmente un’idea poetica del liquido che hai davanti. E anche se in realtà ti fa schifo ti dici che sei tu che non sai apprezzarlo.
Solo che mia nonna, pace alla sua anima, non c’è più, e forse al sommelier dovrei portare qualcosa che indossava, magari un lembo del grembiule. Ma forse a questo punto il sommelier deve essere anche un po’ strega, dovrà avere anche la palla di vetro e tutti gli attrezzi che di solito hanno i fattucchieri, lettori di mani e carte, insomma tutti i tipi che per mestiere hanno stretti rapporti con l’ignoto e l’aldilà.
Ora che ci penso gli odori infatti hanno in sé qualcosa di trascendentale. Come ad esempio il fatto che evocano memorie antichissime, e che noi magari solo per pigrizia tendiamo a datare in qualche punto della nostra infanzia. Forse provengono direttamente dal paradiso, tranne chiaramente l’odore del cavolo e dello zolfo. Decisamente è meglio che non sforzi troppo il mio apparato olfattivo, ché poi vedi come va a finire.
Anche perché non è dell’odore di mia nonna che volevo parlare, ma del fatto che quando veniva da noi non si spogliava mai. Nel senso che andava a letto così com’era vestita. Niente pigiama insomma. Ora anche io ho questa tendenza di andare letto così come sono, senza pigiama. Non lo so, forse non si sentiva a casa sua per mettersi comoda. Forse era una questione di pudore. C’è anche da dire che non è che le davamo una cameretta tutta per sé: la casa era piccola e noi siamo, tra fratelli, sorelle e genitori, più o meno il numero di una squadra di calcio.
Insomma ho questo due ricordi precisi della mia nonna, uno è che non metteva mai il pigiama quando veniva da noi a Casablanca e l’altro è il suo odore. Sì anche il ricordo dell’odore è preciso anche se trovo qualche difficoltà a metterlo nero su bianco.

( dalla mia rubrica su escamontage)


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Caramelle razziste e pennivendoli dalle glabre lingue

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Succede in Svezia. Delle caramelle vengono considerate razziste e la ditta ne prende atto e decide di non produrle più. Succede in Svezia, appunto.

La cosa vista dall’Italia pare roba dell’altromondo. Ma come? Tutto ‘sto baccano per delle caramelle? E in effetti, sinceramente, si fa fatica a capire. Per noi abituati agli epiteti che ogni giorno vengono rivolti alla ministra Kyenge, ai rom e ai “bongo bongo”… questa cosa qui delle caramelle è roba da smidollati, da biondini fighetti di cagionevole salute e stomaco debole. Noi grazie a giornali come La Padania, Il Giornale e Libero, siamo avvezzi a mandare giù di tutto e a digerirlo. Così ci può capitare di leggere anche dei pezzi di questo tenore senza scomporci più di tanto. La lingua di chi ha vergato il suddetto articolo è del genere detto senza peli. Di cui noi fra l’altro siamo solo dei beneficiari indiretti. Il principale oggetto delle loro amorevoli, diciamo pure amorose, cure sono i loro editori.
Certo, in Svezia si sta a fare gli schizzinosi fra caramelle razziste e caramelle non razziste. Ma noi, in compenso, possiamo vantare la robustezza dei nostri stomaci. E all’occorrenza farli crepare d’invidia agli svedesi, mostrando loro quant’è glabra la lingua dei nostri pennivendoli.

(Questo articolo è uscito prima qui)

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Recepire

A parte il consueto gattopardismo, qualcosa effettivamente sta cambiando nella politica. Mi riferisco in particolare al linguaggio. Complici anche i grillini e la ventata giovanilistica dei renziani, il vecchio politichese ce lo stiamo lasciando alle spalle.

Ascoltando un’intervista della ministra Kyenge, mi aveva colpito il fatto che usasse con una certa disinvoltura il verbo recepire.

Tutte le buone intenzioni che aveva in mente di mettere in pratica o che aveva già messo in atto le esternava come qualcosa che ha già recepito o che recepirà.

Sono anche andato a cercarmi il significato preciso. Recepire: Accogliere, far proprie, opinioni, proposte, teorie e istanze altrui, diverse: il vertice di un partito non può non r. gli orientamenti della base.

Sensibilizzato quindi verso questo verbo, ogni volta che mi capita di ascoltare un politico prendo nota mentalmente delle volte che vi ricorre. E ho scoperto grazie a questa mia personale indagine che c’è come una tendenza, in crescendo, a fare un uso spassionato del verbo recepire. Continue reading

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Mannheimer, il patrimonio artistico/culturale e gli stranieri

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Tramite ISPO CLICK (il dipartimento digitale di ISPO, l’Istituto di ricerca fondato dal professor Mannheimer) son venuto a sapere che sono uno degli “opinion leader della rete, che stanno assumendo un ruolo attivo, ed importante, nella creazione dell’opinione pubblica italiana.” E in quanto tale mi si chiede di partecipare a “un’indagine a livello nazionale sulle opinioni dei Blogger verso il patrimonio artistico/culturale italiano.
Lusingato dall’ “opinion leader” ho risposto volentieri al sondaggio che mi si sottoponeva.

Ricavandone anche qualche riflessione.

Si parla spesso di come incentivare il turismo, di come attirare gli stranieri. In Italia, presenti in loco, ci sono ben 5 milioni di immigrati. E se cominciassimo ad attirare anche questi stranieri?
Io, ad esempio, ho abitato per molti anni a Padova senza mai visitare Capella degli Scrovegni. Se durante il mio soggiorno qualcuno degli uffici in cui bazzicavo (sindacati, questura, università, biblioteca ecc) mi avesse, che so, dato un volantino con i vari momumenti da visitare, magari scritto in più di una lingua, sicuramente almeno la curiosità mi sarebbe venuta.

Insomma credo possa essere una buona idea quella di prendere delle iniziative per far conoscere agli immigrati le bellezze dell’Italia, a cominciare da quelle delle città dove risiedono.

Inoltre ormai i 5 milioni di stranieri che vivono in Italia sono un target appetibile se considerati anche come consumatori. Fra i tanti sondaggi che si fanno, tararne alcuni specificatamente per questa fetta di cittadini sarebbe più che mai opportuno.

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Il desiderio di essere come tutti, romanzo di formazione di un teleutente

libro
Francesco Piccolo ne Il desiderio di essere come tutti parla, fra l’altro, di come è diventitato comunista, arrivando ad individuare il momento esatto in cui questo è successo. Individua anche il momento esatto in cui è diventato superficiale. Più avanti individua il momento esatto in cui ha cominciato a odiare Craxi e si è definitivamente identificato in Berlinguer. E continua a individuare altri momenti ( anzi i precisi momenti) fondamentali nel processo alla fine del quale capisce che in fondo in fondo il suo più recondito desiderio, la sua essenza di uomo privato e sociale, è il desiderio di essere come tutti.

Tutti è anche il titolo dell’Unità all’indomani della morte di Berlinguer. Dove tutti sta ad indicare la folla oceanica che ha assistito al funerale e che era composta non solo da comunisti ma appunto da tutti. Continue reading

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Salafiti dal barbiere: farsi una cultura ai tempi della guerra

Lo ammetto. Io dei salafiti non so niente. E nemmeno dei wahabiti. C’è da vergognarsi per questo? Ebbene me ne vergogno e tanto anche. Però basta, non se ne può più. Ma chi l’ha detto che solo per il fatto che mi chiamo Mohamed, chi l’ha detto che debba sapere tutte ‘ste cose qua: salafiti, wahabiti, sunniti, sciiti… E poi un’altra cosa: io di Islam ne so quanto voi. Non sono un Fkih, non sono un teologo, non sono un esperto del sacro Corano.

Non è sempre stato così. C’è stato un tempo che bastava dicessi che durante il Ramadan non si mangia dall’alba al tramonto, che noi musulmani preghiamo 5 volte al giorno rivolti alla mecca, che da noi uno può sposarsi ben 4 donne, ed era fatta. Bastava questo per risvegliare nelle donne fantasie ardite e stupori esotici nelle anime candide.
Adesso è tutto più difficile.
Anche il più malandato dei frequentatori dei circoli Acli ne sa più di me. E mi parla con lo stesso piglio e perizia del derby di ieri sera e di Al Jazeera; della differenza tra Niqab, hijab e delle varie correnti dell’Islam.

È stato dopo l’11 settembre che la gente ha scoperto questo improvviso amore di conoscenza verso le cose dell’Islam, gli arabi e il Medioriente. E ho la netta sensazione che ad ogni nuovo atto terroristico, ad ogni bombardamento degli americani in Iraq, Afghanistan e quelle parti lì, la gente diventi sempre più ferrata in materia. Quasi che questi atti sanguinari o bellici che siano fossero una sorta di incentivo culturale. Ora, per carità, che la gente si faccia una cultura non c’è niente di male, solo che io magari non disdegnerei nemmeno i tempi di pace per acculturarmi.

Mi sembra anche che l’arabo come lingua, sempre dopo gli attentati dell’11 settembre, sia in rispolvero. E anche in questo caso mi sembra ci sia una qualche correlazione fra l’intensificarsi dei kamikaze che si fanno saltare in aria, i bombardamenti dei droni e il fiorire di nuovi corsi d’arabo. Certo è risaputo che le guerre fanno riprendere l’economia. Quello che sospettavo meno è che anche l’economia culturale fosse inclusa in questo processo.

Questa sorta di orientalismo macabro ha preso ora nuovo slancio con le cosiddette Primavere arabe.
Ad un tratto, dopo che il povero Bouazizi si è immolato, tutti, dalla mia fruttivendola al mio barbiere, all’anziana in fila al discount, tutti si sono messi a parlare di Cirenaica, del Colonello Gheddafi e delle sue tribù, di Egitto e di Piazza Tahrir, con insolita cognizione di causa.
Insomma ormai la gente sa tanto di Iraq, Iran, Libia, Egitto, Yemen tanto quanto ne sa di Avetrana. Non sono più luoghi lontani e misteriosi come una volta. E non possiamo non riconoscere a Vespa e ai suoi ospiti la loro parte di merito in tutto ciò. Grandi divulgatori di queste tematiche sono anche la defunta Oriana Fallaci e Magdi Allam. Se tutti ora sanno chi sono i wahabiti e i salafiti è anche merito loro.

Io, per quanto mi chiami Mohamed, mi son sempre tenuto lontano da questi argomenti. Li consideravo roba da geopolitica, con tutto il grigiore che ciò implica. Invece si tratta solo di cronaca nera. La gente si appassiona a Bin Laden o a Saddam Hussein come a Una Bomber. E fra non molto lo stesso si potrà dire di Bashar El Assad. Fra non molto, infatti, nelle bocciofile di tutt’Italia si saprà tutto della Siria come si sa tutto ora di Sarah Scazzi. Ed è molto probabile che le news sul medio oriente passino direttamente dalle pagine di Repubblica a quelle dei più diffusi rotocalchi tipo Cronaca Vera e simili.

Comunque ho deciso: non posso sempre fare scena muta, dal mio barbiere, quando si affrontano questi argomenti. Lo leggo nei suoi occhi come in quelli degli altri clienti, c’è una certa delusione. Quando tirano le parole salafiti e wahabiti mi guardano ed è come se si aspettassero da me delle precisazioni, maggior ragguagli, e più incisivi, su queste tematiche. Io li guardo, faccio cenni con la testa: come per dire “sì è come dite, però le cose son più complicate di quel che pensate”.
Ma non potrò sempre cavarmela così, devo decidermi di frequentare di più Wikipedia.
( dalla mia rubrica su Escamontage)

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Intervista a Pauline Betts


Nel video Pauline Betts ci parla del perchè della sua presenza in Italia. Di integrazione. Del suo rapporto con i vicini italiani; del perchè ora non gestisce più il B&B La mela Rosa. Di come pure gli italian dreamers risentano della crisi economica. Del perchè lascia l’Italia (a questo punto i dati a nostra disposizione registrano un picco nell’audience: le lacrime fanno sempre questo effetto) e ora se ne torna in Australia….

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Immigrati. 2014 anno dello Ius soli, ma ci sono anche altre novità

Stando al ministro Kyenge il 2014 sarà l’anno dello Ius soli. Sicuramente sarà così. Anzi, quanto a oroscopi anch’io avrei alcune previsioni su quanto nel 2014 accadrà nel mondo dell’immigrazione e vado subito a predirle.
– Come già detto, tutti i nuovi nati da cittadini immigrati avranno automaticamente la cittadinanza italiana. Solo che nel frattempo, purtroppo, nessun straniero con un po’ di sale in zucca vorrà più far venire al mondo qui la sua progenie.
– La crisi avrà spostato altrove i flussi migratori. E anche la famigerata “paura del diverso” dovrà riversarsi su altre sponde. Molto probabilmente i padani si vedranno costretti a rispolverare l’antica avversione per i “terroni”.
– Lungo tutta la penisola si potrà riprendere tranquillamente a circolare senza maghrebini o nigeriani fra le scatole.
– I Cie saranno per forza di cose vuoti e desolati. Qualcuno sarà riciclato a bocciofila.
– Non essendoci più nessuno da espellere Salvini non avrà più niente da fare e si annoierà a morte rimpinzzandoci di polenta, grappini e ombrette.
– Gli unici stranieri che rimarrano in Italia saranno Khalid Chaouki, la Kienge e pochi altri immigrati di seconda generazione. E questi saranno tutti chi deputato chi senatore e chi ministro. I dicasteri saranno così distribuiti. Alla Sanità un ex badante ucraina. Agli Interni un ex imam di Gallarate. Come ministro dell’agricoltura un ex mungitore Sikh del cremonese (non essendo “tore” il femminile di “tori”, sarebbe più corretto dire mungivacche – e con questo inciso io sarei pronto come ministro dell’istruzione). All’Industria un ex dipedente marocchino della Cinghiax (fabbrica per cinghie trasmittenti del padovano, poi andata in rovina).
– L’unico dicastero guidato da un italiano (un rampollo della famosa casata proprietaria della Dormiflex) sarà quello del Tempo Libero: istituito ad hoc un po’ per Par conditio e un po’ per non lasciare con le mani in mano il grande esercito di pensionati e disoccupati.
– Ovviamente non ci saranno più venditore di rose. A loro posto solo qualche sparuto ceceno dedito a smerciare accessori e ricambi per dentiere.
– Tutti i dentisti saranno croati.

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